Politica

Su che trattiamo?

Viviamo ore terribili, ore nelle quali i volontari del bene e del soccorso si trovano nelle mani dei miliziani dell’orrore e dell’inciviltà. Sono ore in cui non consegneremo al terrorismo il diritto di non farci ragionare. E ragionando ci accorgiamo che alcune delle proposte che girano non appartengono al mondo della realtà. Il titolo di testa del Corriere della Sera ed il fondo di Pierluigi Battista, su La Stampa, si trovano sulla stessa linea:

l’Italia non può assolutamente ritirare le truppe dall’Iraq, cedendo al ricatto dei terroristi che hanno rapito due ragazze italiane, due volontarie, ma una strada diversa deve essere trovata, si deve “trattare” per salvare loro la vita.

Già, ma trattare su cosa? Sulla condotta dei nostri soldati, promettendo protezione o neutralità nei confronti di questa o quella banda di sgozzatori? Evidentemente no, tanto varrebbe ritirarsi. Offrendo denaro? Si potrebbe anche farlo, forse è stato fatto, ma la cosa avrebbe un senso se si trattasse di un singolo episodio, invece siamo al terzo (per contare solo quelli che riguardano nostri connazionali), due ostaggi sono già stati uccisi, il contingente italiano conta già i suoi morti, in queste condizioni, a chi offriamo soldi? A quanti li useranno per altri rapimenti, altre bombe, altri coglioni suicidi che si fanno saltare in aria?

Nel caso dei tre ostaggi liberati (il quarto, Quattrocchi, era stato abbattuto da macellai) si disse che era stata un’azione delle forze della coalizione, propiziata dai nostri servizi segreti. Che sia vero o non sia vero, quella è l’unica strada mostrabile, l’unica maneggiabile.

E’ giusto dire che le nostre truppe non devono ritirarsi, ed è giusto ribadire che devono completare il loro lavoro. Dopo di che, però, di strade alternative ne restano poche.

In Italia si sono spese parole d’elogio e d’ammirazione per come si sono comportati i francesi. Parole dette assai a sproposito, perché la Francia sta vivendo il calvario di una delle più brucianti e terribili umiliazioni della sua storia. La solidarietà di Hamas, con lo strascico insanguinato dei rapporti pregressi e dei soldi regalati (pagare, come si vede, non basta, non basta mai), è non uno schizzo, ma una palata di fango sulla faccia della Repubblica. Quale mai principio porta a credere che i due giornalisti francesi abbiano più diritto di vivere di giovani israeliani che prendono l’autobus per andare a scuola? La Francia ha incassato la solidarietà di questo gruppo di assassini mentre ancora i corpi delle ultime vittime israeliane lasciavano colare il sangue. Che razza di Paese è quello che non vomita la propria storia, alla vista di tale spettacolo?

Non basta. Non basta perché i due giornalisti francesi non vengono rilasciati, il loro sequestro si dilunga, ed il tempo che intercorre fra l’inginocchiamento del governo francese e l’affettiva (speriamo) liberazione dei due è un tempo che spara alla nuca non solo del governo e della sua politica, ma di tutta una nazione.

Ripeto quello che ho già scritto: avere delle truppe in Iraq è un vantaggio, perché consente, come effettivamente sta avvenendo in Italia, di aggrapparsi ad un elemento contrattabile, ad un punto sul quale non si può essere ricattati, ad una decisione non ritrattabile. Senza si è in balia della follia, come i francesi possono ben spiegare.

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