Politica

Successione e identità

Il problema non è la successione, ma l’identificazione. Se una forza politica ha identità che guarda al futuro avrà leader capaci d’incarnarlo, se ha identità ancorate al passato ne avrà capaci d’imbalsamarlo. Guardate a sinistra: il Partito comunista chiuse ufficialmente i battenti nel febbraio del 1991, ventitré anni dopo il gruppo dirigente è ed è sempre stato composto da coloro che ne erano alla guida. Non c’è stata successione, perché la loro identificazione è tutta al passato. La destra ha avuto un innovatore, un aggregatore e un capo. Privo di passato politico. Dopo venti anni, però, e a prescindere dalle vicende giudiziarie, quel che era nuovo non ha trovato maggioranza e realizzazione, mentre quel che era vecchio resta permanente. Abbiamo una sinistra e una destra di vecchi (non è questione anagrafica) che s’identificano con la conservazione dell’inconservabile, relegando il futuro nel settore dell’impensabile.
Eppure non mancano temi e sfide su cui ridefinire la propria identità, affermandola in positivo, non come semplice negazione dell’avversario. Qui mi concentro su un binomio: destra e diritti civili. Ma solo perché è un articolo e non un libro. E solo perché si crede, del tutto erroneamente, che la successione sia oggi un problema esclusivo della destra.
Terreni come la Convenzione di Istanbul, il femminicidio e l’omofobia, sono ideali per definire una destra moderna. Quel che vedo è l’esatto opposto: una destra a rimorchio del luogocomunismo conformista. Presa dal non volere essere quel che fu, intenta a separarsi dall’identità tradizionalista, assediata da un cattolicesimo moderato i cui leaders invocano la sacralità della famiglia unica avendone diverse e profane, la destra si abbandona nelle braccia del politicamente corretto, supponendo eroico il confluire verso le parole d’ordine della legge che proibisca il male. Ed è, invece, proprio quello il frutto avvelenato: così si uccide la libertà individuale.
Convenendo con Giorgio Gaber, circa la riconducibilità a simboli vuoti della differenza fra destra e sinistra, e scusandomi per la rozza sintesi, potremmo metterla così: la sinistra consiste in una maggiore attenzione al collettivo, la destra all’individuale. Le democrazie che funzionano sono amministrate ora dall’una e ora dall’altra, non solo perché l’alternanza è igienica, ma anche perché dopo essersi spostati troppo verso un estremo è bene muoversi verso l’altro. Così si mantiene l’equilibrio, nel mentre chi perde aggiorna il proprio programma. Da noi non funziona, per due ragioni: a. nessuno perde mai veramente (quindi nessuno vince); b. alleviamo nostalgici. Posto ciò, provenendo da società a solida forma familiare, con annesso valore religioso, si è giustamente imboccata la via dei diritti individuali. Fra questi il divorzio. Poi, però, è stata la sinistra a teorizzare il superiore valore di taluni diritti collettivi, fino a giungere alla perversione di legislazioni per settori umani. Non è fenomeno solo italiano (magari!). Abituati a credere che il diritto stia solo nella legge s’è cominciato a produrre norme per le femmine o per gli omosessuali. Perversione assoluta, sia perché quella produzione ribadisce e certifica la discriminazione, sia, ancora più rilevante, perché i diritti stanno nella libertà. La legge serve a garantire l’esercizio dei diritti individuali, non a discriminarli. L’idea, invece, che serva a compensare squilibri pregressi (le donne ammazzate sono sempre più numerose, che neanche è vero, sicché serve una legge per punire i maschi; gli omosessuali sono discriminati, dove?, quindi serve una legge per punire anche le prese in giro), creandone di settoriali, è tipicamente collettivista. Ecco, allora, che si offre l’occasione per una battaglia di libertà, di rispetto e di progresso, contro i totem e i tabù di un sinistrismo retrogrado e sessista. Invece quei (dis)valori sono così dilagati che la destra vota giuliva l’opposto della propria possibile identità positiva.
Su che si dividono, poi, destra e sinistra? Sul dramma di una malagiustizia che nessuno ha saputo riformare, ma ciascuno usa come arma di ricatto politico. Sul fisco che non sono stati capaci di ridurre, ciascuno accudendo i propri tartassati. Sulla spesa pubblica che non sono stati capaci di tagliare, ciascuno difendendo i propri acri d’improduttività. Sul tutto quotidiano, insomma e sul nulla futuro. Poi non si stupiscano, se il pubblico sciama verso gli spettacoli comici.

Pubblicato da Libero

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