Come ritrovarsi a un bivio fra due vicoli ciechi. Come due ragioni fanno un grosso torto. Quale che sia il compromesso ipotizzabile, comunque non potrà rimediare alla compromissione non solo dei conti pubblici, ma dell’etica stessa nell’amministrare soldi dei contribuenti.
Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, ha ragione: cambiare una norma con effetto retroattivo – quando operatori economici e cittadini hanno in corso lavori generati da quella norma, quando le banche hanno negoziato titoli di credito sulla base della normativa che li ha creati – è osceno. Toglie credibilità a tutte le leggi. Si aggiunga che l’indignata sorpresa di Tajani, per quel che è stato disposto e condiviso dal governo, getta una luce sinistra sul significato dell’essere vice presidente, visto che sarebbe vice di quel che la Costituzione indica come il potere di indirizzare e rendere omogenea l’attività del governo.
Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, ha ragione nel difendere quella rudimentale modifica, perché se i crediti maturati con il dissennato superbonus 110% resteranno incassabili in 4 anni e non divenissero spalmabili in 10, quella mancanza di gettito farebbe schizzare in alto il deficit e il debito, generando un pericoloso squilibrio nei conti pubblici. Non che quel deflusso di quattrini si fermi, ma almeno l’emorragia sarebbe diluita in modo da non provocare un immediato collasso.
Hanno ragione, ma si muovono in direzione opposta. Il che capita perché entrambi i loro partiti, in ampia e per ciò stesso ancora più colpevole compagnia, hanno impedito al governo Draghi di rimediare per tempo a quella che è e resta una dilapidazione. Ora non c’è alcuna via d’uscita dignitosa, ma due vicoli ciechi. In fondo ai quali si saranno spesi – fin qui – 135 miliardi di euro per fare lavori in casa di famiglie per lo più facoltose. A questi soldi si aggiungano quelli spesi per il bonus facciate e per altri bonus edilizi, drogando il mercato, facendo velocemente crescere i redditi di chi opera in quel settore come anche i profitti bancari per lo sconto dei crediti, sicché mettendo le premesse di un successivo crollo di quegli stessi mercati.
Ma non basta, perché si devono pure sentire anime belle che vanno dicendo una cosa giusta, ovvero che sarebbe bene creare debito comune europeo per finanziare l’integrazione e settori produttivi importanti, dalla difesa alla transizione energetica, ma usano la lingua del Paese più indebitato e che ha speso i soldi del già esistente debito europeo – quindi garantiti dai cittadini contribuenti in Paesi a più basso indebitamento e che pagano un più basso tasso d’interesse – per finanziare chi e quel che di meno ha bisogno. Credibilità tendente allo zero.
E come se non bastasse quel nocumento alla credibilità esterna, si colpisce anche la già non ragguardevole credibilità interna: non ha alcun senso dire (come fa Forza Italia) che si è contrari a nuovi prelievi fiscali quando il gettito fiscale cresce e il potere d’acquisto diminuisce, nonché quando si va dicendo di avere finanziato di più la sanità avendone costantemente diminuito l’incidenza sul Prodotto interno lordo; non ha senso perché queste sono le tasse pagate all’avere generato un colossale debito pubblico improduttivo. Non si può promettere che non si pagherà, se non altro perché lo si sta già pagando. Ma, in compenso, lo si sta anche allargando.
Se si è arrivati a due ragioni che fanno un comune torto, però, la responsabilità non è solo degli irresponsabili che vengono eletti e portati al governo, bensì anche di chi ce li manda, ovvero di noi tutti. Finché si voterà premiando chi si arma di succhiello per bucherellare ulteriormente i conti pubblici fino a tarlarli e comprometterli, finché si crederà furbo e intelligente il far finta d’essere sprovveduti e scemi, sicché si crede alle promesse che non potranno essere mantenute, si avranno parlamentari e governanti che, nel migliore dei casi, faranno il contrario di quel che dissero.
Davide Giacalone, La Ragione 14 maggio 2024