Politica

Suicidio tribale

Le lotte tribali ci stanno portando al suicidio collettivo. Gli opposti stregoni sono disposti a giocarsi la vita (degli altri) pur di addentare il cuore dell’avversario. Ogni tanto qualcuno alza il ditino e invita alla consapevolezza della crisi, avverte l’imminenza dei pericoli, ma poi stringe il pugno sulla clava e con quella cerca di sfondare il cranio dei vicini. Una scena pazzesca, in un frullato d’irresponsabilità e desiderio di rivalsa che si riverbera su una collettività cui si sollecitano gli istinti peggiori, cui s’indica nella vendetta sociale la via maestra per il riscatto.

Il governo ha ottenuto, per la cinquantesima volta, la fiducia. L’ha ottenuta su un decreto la cui genesi è stata a dir poco imbarazzante, ma la cui struttura deriva dalle indicazioni della Banca Centrale Europea e della Banca d’Italia, sotto la regia del Quirinale. Un decreto il cui contenuto è considerato come necessario e (al momento) sufficiente dalle autorità europee. Eppure il fatto è commentato sostenendo che conta poco, per non dire niente, rispetto alle intercettazioni telefoniche che escono e ai magistrati di Napoli che pretendono d’interrogare chi guida il governo. In un quadro in cui non solo il diritto è andato a farsi benedire, ma in cui tutto è possibile, anche oltraggiare l’interesse nazionale, pur di regolare i conti. Non servirà a nulla, ma è nostro dovere avvertire che questo gioco al massacro può finire solo male. Per inquadrarlo dovrò usare immagini e parole urticanti.

Nessuna sana democrazia può essere governata da chi è dedito alle orge e passa ore al telefono con soggetti squalificati e squalificanti. Non è questione di moralismo, né, all’opposto, di rispettare la privacy. E’ questione di decenza. Non serve esprimere giudizi sulle condotte private, ma è impossibile trascurarne gli effetti sulla vita pubblica. E neanche si tratta di fare il censimento dei puri e dei casti, rischiando di contabilizzare falsi e ipocriti, ma è impossibile andare avanti pensando che sia accettabile la crapula di Stato. Tutto questo, però, deve essere portato davanti ad un solo tribunale: quello elettorale. Sono gli elettori a dovere stabilire se il bilancio di chi li ha governati è attivo o passivo, anche mettendo nel conto lo stile di vita. Non è solo legittimo, è doveroso. Qui, invece, si pretende di risolvere la faccenda in sede penale, salvo il fatto che se ne occupa chi non ha la competenza, usa trucchi da baraccone, come quello di pretendere che parli una falsa vittima, per farne un vero indagato, e diffonde a piene mani intercettazioni che la legge ha già proibito. Il fine non giustifica affatto i mezzi, perché il fine è illegittimo in sé, ovvero espropriare l’elettorato di un potere che gli compete in esclusiva.

La sinistra, assecondando questa roba, si condanna ad una doppia sconfitta: la prima consiste nel consegnarsi ostaggio dei peggiori squadristi, di quanti vogliono mantenerla all’età delle pietre e renderle impossibile l’aspirare seriamente al governo; la seconda s’incarna nel patetico appello a che sia l’avversario politico a farsi fuori con le proprie mani, autoesiliandosi dalla politica, giacché una normale gara elettorale, in queste condizioni, darebbe esiti non scontati.

Ma il problema non è solo la sinistra, anche la Presidenza della Repubblica lo è diventato. So bene che questo è terreno minato, ma i coaguli d’ipocrisia e viltà m’inducono all’opposto dell’omertà. Leggo quel che ha scritto l’ottimo e sempre ragionevole Stefano Folli, bene informato e mai corrivo con il pettegolezzo: si dice che fra le intercettazioni, maneggiate con tanta disinvoltura da magistrati che non processeranno mai né gli indagati né la loro presunta vittima, ce ne sarebbero alcune in cui si parla di governanti d’altri paesi. Ebbene, questa sì che sarebbe un’ottima ragione per fare un decreto legge e proibirne la pubblicazione. Per interesse nazionale, cui il Quirinale non può e non deve essere insensibile.

Chi ci legge sa che non credo affatto questa sia la soluzione per la piaga delle intercettazioni, oramai infetta per ogni dove, nella nostra disgraziata Italia. Credo che si dovrebbe usarle per indagare e non per provare, quindi mai depositare e mai pubblicare. Ma se fosse vero quel che, con prudenza e urgenza, oggi si ventila, allora l’interdizione dovrebbe essere immediata e totale.

Invece arriva il veto, che prolunga la lotta tribale e facilita il suicidio collettivo, a sua volta sollecitando attacchi al governo e facendo passare in cavalleria il fatto che, per la cinquantesima volta, ottiene la fiducia del Parlamento. Tutto questo non farà che alimentare la rabbia cieca, avvelenando ulteriormente il clima e ostruendo le vie d’uscita. Che ci sono, le abbiamo esposte, si possono imboccare, se solo la si finisce di credere che l’unico problema italiano sia impalare o salvare uno solo.

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