Lo ammetto, considero la cultura laica superiore a quella cattolica e, per quel che riguarda in particolare la nostra storia nazionale, enormemente superiore a quella marxista. Non si deve dire? e perché?
La cultura laica ha una tale superiorità da essere riuscita ad affermare un principio estraneo a tutte le culture religiose, vale a dire quello della civile convivenza fra diversi credi religiosi. Anzi, la sola idea che si potesse accettare il diffondersi di altre religioni, la sola supposizione che si potesse avviare ecumenismo fra di esse, era considerata dai cattolici l’essenza stessa dell’anticristo. Oggi le cose vengono valutate diversamente, e questo è un successo della nostra civiltà laica.
La cultura laica contiene in se stessa il dubbio e la critica, al punto che c’interessano di più le domande ben poste che le risposte troppo ben date (o bendate). Se la penso superiore non la penso perfetta, e l’unto ci ricorda una macchia, più che una predestinazione. La questione, però, che anima uno scomposto dibattito è diversa, e riguarderebbe la pretesa superiorità civile della cultura creatasi attorno al ceppo giudaico cristiano rispetto a quella costruitasi attorno a quello islamico. Credo che, anche in questo caso, una superiorità ci sia, ma non appartiene allo specifico religioso.
Sia i papi che altre autorità religiose protestanti, anche in ossequio agli equilibri che la storia andava definendo (cuius regio eius religio), hanno più volte sperato che la legge civile potesse essere surrogata dalla legge religiosa, di cui essi si ergevano ad unici interpreti autorizzati. Ecco, da noi hanno perso la loro battaglia, per nostra somma fortuna e gioia, questi capi religiosi sono degli sconfitti. Ne hanno preso atto, e si sono adattati a vivere in un mondo secolarizzato, nel quale si riconosce loro il potere di dettare la morale a quanti accettano di sentirsela dettare, ma si impedisce loro, se necessario con l’uso della forza, di tradurre quella morale in amministrazione del reale (se accatastassero la legna in Campo de’ Fiori, oggi, la cosa non passerebbe inosservata ed impunita).
La religione cristiana, grazie a Paolo, trovò nell’impero romano un potente sistema di diffusione, ma, al tempo stesso, si misurò con la necessità di vivere in un mondo in cui le leggi e lo stato non sarebbero state leggi divine e stato teocratico. Grazie a questo, al di là delle affermazioni generiche (fino a qualche tempo fa contenute anche nella nostra Costituzione, per triste lascito dei patti lateranensi) non c’è una sola contrada dell’occidente che sia amministrata secondo leggi che promanino da una qualche divinità.
Lo stesso non può dirsi dell’Islam, ed è questo un elemento di arretratezza di cui assai soffrono le popolazioni che si trovano sotto quel dominio (lo si domandi alle donne, agli studenti, agli uomini d’affari, agli scrittori ed agli spiriti liberi in generale). Vi è, però, un’ulteriore questione, che oggi è la più importante. Diversi paesi arabi hanno mostrato di saper ben valutare la propria convenienza al fianco del mondo libero e democratico. Così è stato, per esempio, nell’attacco che si è giustamente sferrato contro l’Iraq (e giova ricordare l’avversità vaticana). In questi paesi il peso del sacro non è paragonabile a quello che il sacro pesa dalle nostre parti. Oggi abbiamo bisogno di colpire duramente i frutti avvelenati dell’integralismo religioso, senza per questo rompere una comunanza d’interessi che è bene conservare.
Per questi motivi l’amministrazione Usa ha saggiamente avvertito, fin dal primo momento, quando le macerie fumavano ed i corpi sanguinavano, che non si tratta e non si tratterà di uno scontro fra civiltà. Così deve essere, se non si vuole che il conflitto assuma significati e dimensioni impraticabili, con il risultato ultimo che ci terremmo i terroristi a zonzo.