Politica

Surrealismo elettorale

Il teatro dell’assurdo ci regalò “Aspettando Godot”, di Samuel Beckett. Nell’Italia d’oggi va in scena “Aspettando le elezioni”. Godot non arriva, le elezioni, prima o dopo, si fanno. Gli italiani votano, qualcuno vince, si consumano i festeggiamenti e poi si comincia da capo: siccome non riesce a governare si riprende a parlare d’elezioni. I tattici studiano le carte della topografia elettorale. I sondaggisti s’atteggiano a moderni aruspici. Gli altri guardano, aspettandosi e partecipando sempre meno. Se va avanti così fonderemo i due assurdi, sicché aspetteremo Godot il giorno delle elezioni.
Ammetto di avere delle responsabilità, sebbene da mero osservatore. Le elezioni politiche mi sembrarono un’opportunità sensata già un anno fa, da programmarsi assieme alle regionali. Il ragionamento che svolgemmo era banale: la maggioranza mostrava già solchi profondi, navigando verso l’inerzia, il propellente iniziale non aveva portato le riforme necessarie, ma era ricominciata la guerra nella trincea giudiziaria, in più la crisi economica era sì globale, ma consumi e lavoratori, da noi, non ne avevano ancora subito i dolori, siccome, riflettevamo, dall’autunno 2010 saranno reali, meglio non perdere tempo e ripartire in fretta. Le regionali sono passate, con tutti a scommettere sulla sconfitta di Silvio Berlusconi e gli elettori a decretare il contrario.
Dopo le regionali è esplosa la polemica con Gianfranco Fini. Se dovessi riassumere, ad un marziano, quali sono i temi politici dello scontro mi troverei in difficoltà. Normalmente, quando si fa politica seria, l’assenza di reali distanze programmatiche (a meno che non si considerino tali il diritto di crepare e quello di sposarsi fra omosessuali) favorisce la ricomposizione. Qui è vero il contrario, perché, per dirla alla De Curtis, a prescindere da tutto i due si detestano. L’estate passata a parlare di case e cognati, poi, non sembra il preludio di una ritrovata, e magari falsa, sintonia. I saggi suggeriscono ai due di riaccordarsi, ma forse sottovalutano il fatto che sembrerebbero due pugili a corto di fiato, che s’abbracciano per stare in piedi, non per afflato di fratellanza.
In tale contesto, dunque, ragionammo così: o si rompe l’incantesimo bipolare e Berlusconi fa l’accordo con l’Udc di Pier Ferdinando Casini, o il tempo che passa è solo agonia, quindi meglio votare subito. Le altre alchimie, compresi i governi “diversi”, trascurano un dettaglio: la sinistra, in quanto a unità, è messa peggio e far fare a Berlusconi, per l’ennesima volta, la campagna dell’oppositore è un regalo che neanche la Befana porterebbe. Siccome Umberto Bossi, che ha fiuto da vendere ed è un giocatore azzardoso, ha chiarito che di Casini neanche se ne parla, non restano che le urne. Che, oltre tutto, convengono alla sinistra, la quale evita di vendolizzarsi e spaccarsi.
E’ capitato, però, che Bossi s’è messo ad affiggere manifesti per le elezioni, già pregustando la dominanza sul gruppo parlamentare che gli sarebbe derivata dall’essere rimasto l’ultimo alleato di Berlusconi, e che quest’ultimo abbia ripreso a parlare di governabilità e stabilità. Belle cose, ma come si ottengono? La mozione di fiducia passerà, ma trenta secondi dopo saremo punto e a capo. Tralasciamo il fatto che la sinistra festeggia la stabilità degli avversari e le non elezioni, dimostrando d’avere più talento di Beckett.
E’ vero che gli elettori non ne possono più, talché più numerosi risparmieranno le suole per andare ai seggi, ma se s’allunga la broda per altri mesi, per giunta dolorosi e incattiviti dagli scontri sociali, non c’è da aspettarsi che il loro umore si rassereni. Andare avanti, quindi, ha un senso se si pensa di poterlo fare non per una o due stagioni, ma fino in fondo alla legislatura. E come, contrattando ogni volta il pugno di voti che serve per far passare qualche cosa? Se s’imbocca questa strada i gruppi marginali e mercanteggianti si moltiplicheranno, costringendoci anche ad informarci su perfetti sconosciuti, di cui non si conosce l’ombra d’un pensiero, divenuti improvvisamente determinanti.
Senza contare che avanzando in questo modo s’ipotecano altri due anni nel corso dei quali non solo non si fanno riforme strutturali, ma neanche se ne può parlare seriamente, aggregando moderati e riformisti d’ambo le parti. Sarà un tempo d’attesa, dove, di tanto in tanto, ci si domanderà: ma arriva ‘sto Godot? Per poi passare a pugnalare il vicino, in un trionfo di dossieraggi senza processi che renderanno radioattivo il terreno per i tempi a venire.
Insomma, le elezioni, lo abbiamo scritto tante volte, non sarebbero state una soluzione, ma il non farle neanche. Nell’un caso come nell’altro quel che serve è una politica che sappia parlare al futuro senza immaginarlo come riproduzione del presente. Giulio Andreotti, noto per il cinismo battutaro (oramai degenerato in cattiveria senile), sostenne che tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia. Divertente, ma quando si hanno malattie serie e le si ingora va a finire che tirare a campare è il modo più sicuro per tirare le cuoia.

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