Politica

Tangentopoli rossa

olo chi soffre di una cecità imposta dalla volontà può non essersi accorto che, nel decennio che si è chiuso, tutti i partiti democratici italiani sono stati decapitati dalle inchieste giudiziarie.

Ne sono sorti di nuovi e diversi, nei confronti dei quali pure si è tentato di utilizzare la medesima arma. E solo chi soffre di cecità selettiva può non essersi accorto che a quelle inchieste sono sfuggiti solo due partiti, che hanno in comune radici decisamente antidemocratiche: il partito comunista italiano ed il movimento sociale italiano. Ambedue hanno poi deciso di cambiare nome.

Per quanto riguarda i comunisti italiani, come c’è stato ancora di recente ed autorevolmente ricordato, la magistratura non ritenne di procedere in modo significativo giacché gran parte delle “notizie di reato” erano da considerarsi non utilizzabili. Da ultimo il pubblico ministero più influente dell’epoca, Antonio Di Pietro, poi divenuto parlamentare grazie alla candidatura offertagli e garantitagli dai comunisti, ha in tal senso spiegato il motivo per cui le cose dettegli da Craxi erano prive di valore: si riferivano a documenti vecchi.

Può darsi che la rettitudine e la competenza professionale dei magistrati italiani siano state all’altezza della situazione e che, pertanto, abbiano avuto ragione a comportarsi come si sono comportati. A noi, che magistrati non siamo, rimane l’impressione che in questo ragionare manchino elementi essenziali ed imprescindibili. La democrazia italiana non è nata negli anni ottanta, essa ha radici più antiche ed è stato necessario difenderla per più lungo tempo. Anche prima che, agli albori dei novanta, una parte della magistratura decidesse di occuparsene direttamente. E se i documenti sono vecchi per i magistrati, alcuni di essi a noi paiono recentissimi, ed utili a comprendere in quale realtà siamo vissuti.

Tutti hanno dimenticato, ammesso che l’abbiano mai conosciuta, la mozione presentata dalla corrente riformista, nel giugno del 1992, alla direzione del pds. In essa si legge : “Ad incrementare forme non del tutto trasparenti di entrate ha certamente contribuito l’inasprirsi della competizione politico-elettorale nel corso degli anni ?80 ed il travolgimento di ogni sua regola ad opera di un rampantismo spregiudicato e privo di principi morali. La responsabilità politica dei gruppi dirigenti del Pci prima e del Pds dopo è quella di non aver radicalmente rotto una pratica che esponeva il partito a rischi drammatici, e anche di non avere operato drasticamente per una riduzione della spesa”. Come si vede, il linguaggio utilizzato mostrava la consapevolezza di dovere, nel pds, affrontare problemi del tutto analoghi a quelli che travagliavano gli altri partiti politici.

La mozione, comunque, fu respinta con sdegno da una vasta maggioranza, ma, cosa decisamente più significativa, nessuno ne fece parola all’esterno. Ed ancora dopo nessuno ne parlò, sui grandi quotidiani o nelle centinaia di occasioni salottiere offerte dalla televisione, quando fu pubblicata, nel gennaio del 2000, su “Le Ragioni del Socialismo”. Eppure quella corrente raccoglieva persone del calibro di Napolitano, Lama, Chiaromonte, Bufalini, Macaluso, Boffa, Cofferati, Cervetti e Turci. Mica quattro estremisti del moralismo interno. E di tutti questi illustri signori, del resto, solo pochi credettero, poi, di mantenersi su quella posizione. Fra questi Macaluso e Cervetti.

Per chi legge le cose del mondo senza pensare solo a notizie di reato e relative prescrizioni, certi documenti non smettono di essere interessanti ed utili, specialmente per capire cosa è successo dopo, cioè ieri. Molti di questi documenti si possono trovare in un libro che si è fatto passare accuratamente sotto silenzio, scritto non da un esponente della reazione, ma da chi è stato comunista, e sulla scorta degli appunti lasciati da un uomo che fu al centro della costruzione finanziaria del pci (da cui poi uscì): Eugenio Reale. Vale la pena di sfogliarlo, il libro di Giuseppe Averardi (“Le carte del Pci”, Piero Lacaita Editore), anche perché offre la prospettiva storica di chi, certe cose, le ha viste nascere. Tanto per fare un esempio, nel 1958 uno dei collaboratori ed amici di Eugenio Reale, l’avvocato Antonio D’Ambrosio, a chi gli chiedeva (riservatamente ed amichevolmente) di quantificare i finanziamenti che derivavano dal meccanismo societario costruito dai comunisti, rispondeva: “Milioni di dollari. Nessuno, nemmeno Eugenio, però, era in grado di quantificare l’entità di quanto arrivava a Botteghe Oscure. A proposito della percentuale dell’1% (riscossa sulle transazioni con l’URSS ed i paesi del Patto di Varsavia, n.d.r.), pensate che vi sono compagni che, avendo lavorato come agenti di intermediazione, possono acquistare interi stabili e ristrutturarli, disponendo di milioni, grazie a quella percentuale”. E parliamo di milioni degli anni cinquanta. “Nei prossimi anni – sosteneva D’Ambrosio – non ci sarà più un solo commercio con quei paesi senza che il Pci non raccolga la sua percentuale. Questa è la via italiana al socialismo. I maggiori industriali che commerciano con i paesi dell’Est passano l’intermediazione a Botteghe Oscure. Al foraggiamento del Pci partecipano, in non piccola misura, alcune grandi e medie industrie italiana. Non parliamo poi delle aziende di Stato, dell’Eni, della Finsider, della Fincantieri, che sono fra le più attive in questo genere di traffici, e che non disdegnano la mediazione costosa delle società controllate dal Pci”. Previsione del tutto azzeccata.

Preistoria inutilizzabile, per i magistrati. Storia recente ed inesplorata della Repubblica, secondo chi voglia essere ragionevole. Anche perché non è ragionevole pensare che l’Italia repubblicana sia nata con i governi De Gasperi, che la scelta di libertà si sia compiuta con l’adesione alla NATO (tutta roba cui i comunisti, coerentemente, si opposero e, per certi aspetti, ancora si oppongono) e che tutte le scelte fondamentali siano state compiute in quei giorni, come in una sorta di big bang politico da cui fuoriesce tutta la materia che poi decade e si corrompe nei lunghi anni successivi, fino a rinnovellarsi e prendere nuova forma sotto le cure amorevoli della magistratura che inquisisce il mondo politico democratico ed il governo finalmente animato e sostenuto dai comunisti (con l’unico neo che, per farlo, dovettero rinunciare alla loro gloriosa bandiera). Ecco, non è ragionevole leggere così la storia d’Italia, ed è, quindi, all’opposto assai più ragionevole ricordarsi che la forza politica e propagandistica dei comunisti ha pesato, giorno dopo giorno, su tutte le scelte che vennero compiute, che li videro all’opposizione e che, nella gran parte, stanno nel medagliere delle giuste cose.

Ed il peso della macchina comunista, come annota Eugenio Reale, è quello di un “apparato del Pci (che), in proporzione ai rispettivi effettivi elettorali è da 50 a 100 volte più dotato di attrezzature e mezzi di propaganda di qualsiasi altro partito”. Cosa che, del resto, anche senza scomodare Reale, sa chiunque abbia osservato la vita pubblica e politica, nel corso degli ultimi cinquanta anni. E chiunque abbia osservato non ha mai nutrito alcun dubbio sul fatto che quell’apparato avesse un costo, ed anche elevato.

Alcuni, per la verità, pensavano davvero che lo si potesse finanziare con le sottoscrizioni volontarie, il tesseramento, la tassazione del cinquanta per cento operata sugli emolumenti dei parlamentari, e mediante la vendita di salsicce alle Feste dell’Unità. Chi ci credeva mostrava una tenera ingenuità, sconfinante nella più mansueta stupidità. A loro, come ai tanti cinici che dicono di sapere tutto, che di nulla si stupiscono, vale la pena di suggerire la lettura di queste pagine e dei taccuini lasciati da Reale.

Ma prima di passare ai finanziamenti sovietici vorrei dire una cosa a proposito della Lega delle Cooperative. Le Cooperative rosse hanno fatto parte, a pienissimo titolo, del sistema spartitorio e lottizzatorio che ha portato all’inquisizione ed alla liquidazione dei partiti democratici. Alla Lega erano riservate quote fisse di appalti pubblici, secondo una percentualizzazzione del tutto simile a quella operata dai democristiani, dai socialisti e dagli altri partiti numericamente minori. Gli effetti giudiziari sono stati, però, radicalmente diversi, giacché i magistrati si sono infruttuosamente impegnati nel tentativo di scovare il canale che portava i soldi dalla Lega alle casse del pci prima e del pds poi. Un tentativo, quello dei magistrati, illogico e suicida.

Una impresa di costruzioni che pagava una tangente ai democristiani, tanto per fare un esempio, rimaneva pur sempre diversa ed esterna rispetto alla dc. La Lega, invece, era del tutto interna al pci. Per il partito la Lega non solo svolgeva attività economiche, ma manteneva i contati e l’egemonia su un’area che andava dai socialisti, ai repubblicani ai socialdemocratici, finanziandone le attività e stipendiandone i dirigenti. Penso che taluni si stupirebbero se conoscessero i nomi di quanti prendevano lo stipendio dalla Lega e che poi, facendosi passare per manager si sono utilmente ricollocati nel giuoco politico, naturalmente al fianco degli antichi datori di lavoro. Per questi motivi è inutile cercare le tangenti che la Lega passava al pci, perché la tangente era la Lega. Essa tratteneva nei suoi bilanci le percentuali che altrove andavano a finanziare i partiti, e mediante quelle risorse finanziava il pci caricando sui propri bilanci i costi dell’attività politica. Chiaro?

I dollari sovietici destinati a finanziare i comunisti italiani sono un fatto certo e riconosciuto dagli stessi comunisti, rimangono da stabilire due cose: quando è terminato il flusso di capitali ed a quanto ammontava. Prima di affrontare questi due dilemmi sarà bene, però, ricordare di cosa stiamo parlando: di un partito politico italiano finanziato con i soldi di una dittatura sanguinaria, nemica di ogni libertà e militarmente ostile all’occidente democratico. E’ bene non dimenticare il contesto storico in cui queste cose avvennero, né gli effetti della guerra fredda, quindi è bene non passare la condanna storica del comunismo sovietico sulle spalle di tutti i comunisti italiani. Sarebbe cieco ed ingiusto. Ma sarebbe non meno cieco ed ingiusto mettere quei soldi sullo stesso piano di quelli provenienti dal sistema economico italiano, o dai paesi nostri alleati: tutte democrazie. Sarebbe anche sciocco dimenticare che quei dollari sovietici furono pesantemente condizionanti per l’attività politica del pci, al punto che il segretario comunista che andò poi a rendere visita al quartier generale della NATO (Occhetto), ed il suo successore che inneggiò poi alla guerra giusta della NATO contro la Serbia (D’Alema), ancora dieci anni prima sfilavano contro le armi che tanto avrebbero applaudito, applaudendo allora Breznev, segretario generale de pcus, loro finanziatore e condottiero pacifista.

Allora, per sapere quanti fossero i dollari sovietici si deve ricordare quel che si diceva all’inizio, a proposito delle società d’intermediazione. I finanziamenti dal paese del Gulag seguivano (almeno) due strade: il finanziamento diretto e quello mediante il procacciamento di affari. Averardi, nel libro citato, calcola che, nel 1980 il finanziamento pubblico al pci ammontava a 20 miliardi e 233 milioni; l’autofinanziamento dichiarato a 45 miliardi e 521 milioni, il fondo sovietico, ovvero il finanziamento diretto, a lira e dollaro attualizzati, equivaleva a 6 miliardi e 108 milioni; ed i proventi derivanti dalle società di import export arrivavano a 19 miliardi e 851 milioni. Dal che deriva che i finanziamenti sovietici, almeno quelli ricostruiti da Averardi, superavano nettamente il finanziamento pubblico, mentre la voce autofinanziamento era per sua natura piuttosto elastica, ed in essa si ritrova l’attività dei tanti Greganti all’opera. A questo si deve sommare il valore delle prestazioni fornite dalla Lega delle Cooperative.

Sempre Averardi calcola che, a valori attualizzati della lira, il pci poteva disporre di 164 miliardi nel 1964; 190 nel 1973; 278 nel 1974 e 260 nel 1980. Faccia, il lettore, lo sforzo di paragonare queste cifre a quelle più roboanti (e talora fantasiose) di cui si è parlato nel corso delle inchieste sul finanziamento dei partiti democratici, inchieste che ne provocarono la morte. Si accorgerà che le seconde sono solo una parte infinitesima delle prime. E, come se non bastasse, Averardi stesso avverte che i suoi calcoli sono certamente per difetto.

Ma si rifletta su un ulteriore aspetto della questione. I ds, oggi, versano in una grave crisi economica: licenziano funzionari, vendono la sede di Botteghe Oscure, chiudono l’Unità (nonostante il finanziamento pubblico di 20 miliardi l’anno). Chi conosce la storia dei partiti sa che i ds attraversano oggi la crisi che i partiti democratici hanno attraversato quindici o venti anni prima, il che significa che la loro forza economica è stata un elemento gravemente distorcente della vita democratica. Ma, allora, fino a quando sono arrivati i dollari sovietici? Risposta: non fino al 1980, non fino a quando dicono anche i comunisti più disposti al ragionamento, ma fin dopo la fine dell’Unione Sovietica. Come? Con le società d’intermediazione di cui parlava Reale negli anni cinquanta. Quel sistema non è stato smantellato, ed ha continuato a fornire risorse fino a quando le trasformazioni reali della Russia post gorbacioviana hanno consentito agli imprenditori di accedervi senza utilizzarlo.

Ecco, sarà pure vero (?) che tutto questo non serve assolutamente a niente sul piano giudiziario e, del resto, non abbiamo mai pensato (al contrario di altri ed al contrario dei pci-pds-ds) che queste questioni fossero da risolversi nelle aule di giustizia, ma, di certo, quanto fin qui detto rimane, assieme a molto altro materiale, d’estrema attualità sul tavolo degli storici, dei politici e degli italiani civili. Le falsificazioni cui abbiamo fin qui assistito nuociono gravemente alla democrazia e la battaglia per la verità deve continuare non solo fuori, ma anche non tenendo in alcun conto le vicende penali.

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