In Germania il governo lo faranno presto e questo segnerà diverse e rilevanti novità. Vale per tutti gli europei, giacché siamo concittadini, ma vale in particolare per noi italiani, per quanto siamo vicini e per quanto sono integrati i nostri sistemi produttivi: o si coglie il senso di quel che accade o si resta ai margini. Preconcetti e avversità da perdenti sono soltanto zavorre. Occhio, perché l’aria è già cambiata.
Il governo sarà guidato da Friedrich Merz, cristianodemocratico, vincitore delle elezioni ma senza seggi bastevoli per potere governare con il suo solo partito. Ha già annunciato un accordo con i Verdi e il suo sarà un governo di coalizione nel quale si troveranno animali rari, nel panorama politico europeo: saranno partiti con radici nel secolo scorso e ascendenze che giungono al precedente. Non è un segno di arretratezza, ma di stabilità e affidabilità. Le democrazie non funzionano senza i partiti e noi abbiamo distrutto i partiti, inceppando la democrazia.
Il governo nascerà avendo un perno nella politica estera, nella concezione dell’Unione Europea, della guerra in Ucraina e del rapporto con gli Stati Uniti. Da noi accade l’opposto: si creano coalizioni che provano a stare assieme pur avendo linee opposte di politica estera. Moralismo e malpancismo lasciano il tempo che trovano, sta di fatto che l’approccio tedesco rende più forte il Paese, mentre il nostro lo indebolisce. Con buona pace del provincialismo che s’immagina al centro di sempre nuovi (e sempre commoventi) protagonismi.
Merz è non soltanto il politico, ma forse il tedesco più filostatunitense. Un ultra atlantista. Proprio perché tale sa di cosa parla, sa che cosa ci si sta giocando e si può permettere di sostenere che va accolta l’offerta francese di rendere europeo il suo ombrello nucleare. Su questo punto si rigenererà il rapporto fra la Francia e la Germania, fra la sola potenza nucleare (nonché seconda economia) e la più grande potenza industriale ed economica dell’Ue. Se l’Italia se ne tenesse distante, per inseguire i problemi psicologici di capi politici che passarono l’adolescenza a sbraitare contro l’atlantismo e l’europeismo, ne saranno danneggiati gli interessi italiani. Ivi compresi quelli produttivi nel campo della difesa.
Merz è un allievo di Wolfgang Schäuble (tutti e due nella Cdu ed entrambi concorrenti di Angela Merkel), il ministro dell’Economia che qui in Italia, con grossolana rozzezza, veniva indicato come “falco”. Non condividevo la sua visione del mercato, ma quando veniva descritto come nemico dell’Italia – in quanto nemico del debito crescente – e lui rispondeva che noi spendiamo più per il debito che per l’istruzione, sicché era da matti perseverare, aveva totalmente ragione. Ebbene, venendo da quella rigorosa scuola Merz propone ora 1.000 miliardi di spesa pubblica e il debito, nei quattro anni, che salga dal 62% del Prodotto interno lordo a più dell’80%.
Negli anni Novanta, quando da noi cresceva il debito pubblico, la Germania era descritta come il «malato d’Europa». Alla fine di quel decennio fecero riforme profonde del mercato del lavoro e aprirono agli ulteriori immigrati necessari alla produzione. La locomotiva tornò a correre. La sua potenza si è indebolita sia per il venire meno del quadro internazionale nel quale aveva preso forza, sia perché l’industria ha investito poco e niente in ricerca, sviluppo e innovazione. Ora ripartirà.
Per noi questo significa sia uno squilibrio (perché non potremo spendere nulla di paragonabile, avendo già un debito più di 50 punti sopra il loro massimo livello d’arrivo) sia un’opportunità (perché una grossa parte del nostro sistema industriale è agganciato a quello tedesco). Alla fine, quindi, ci conviene. Ma a patto di riprendere il passo produttivo veloce, non rimanere indietro in innovazione, non farsi spiazzare dai settori produttivi, puntare alla competizione e non alla protezione e avere manodopera abbondante e preparata. Così si potrà sedere al desco della ripresa.
Ma si litiga su tutto e si trascura questa sfida.
Davide Giacalone, La Ragione 15 marzo 2025
