Se il terrorismo, o anche solo la violenza, dipendesse dalla povertà si sarebbe dovuto più che dimezzare, negli ultimi venticinque anni. La tesi esposta da Jorge Mario Bergoglio non trova appigli nella realtà. Né globale, né europea, né personale dei criminali autori di mattanze. Una tesi che resta affascinante, ma solo perché accarezza l’assurda autoflagellazione di casa nostra, o un certo sociologismo da tre palle un soldo.
1 miliardo 958 milioni di persone vivevano sotto il livello di sussistenza, nel 1990, oggi sono 702 milioni. Troppi, ma molti meno. In un quarto di secolo 1 miliardo e 200 milioni di persone sono riuscite a superare il reddito considerato minimo. Nello stesso lasso di tempo la mortalità infantile, nel mondo, è diminuita del 53.5%. E se non è un successo questo non so cosa mai possa esserlo. Si deve fare di più, certo, ma molto è stato fatto. Se il terrorismo avesse seguito lo stesso trend oggi vivremmo in un mondo non solo più ricco, ma anche più sicuro. Non è andata così.
Immaginare che la povertà generi terrorismo in Europa, poi, è un non senso. Oltre che un’offesa alla povertà. E’ vero che abbiamo alle spalle quattro anni di crisi, ma continuiamo a vivere in uno dei posti più ricchi del mondo (siamo il 7% della popolazione globale, produciamo il 25% del prodotto lordo globale e consumiamo il 50% della spesa sociale). Il pil europeo aggregato è sempre cresciuto. Certo, è lievitata la disoccupazione, molto, troppo, ma è cresciuta anche la spesa per ammortizzatori sociali (e il debito). In ogni caso il terrorismo ha raggiunto vette globali ben prima della crisi, né si generano fenomeni epocali in un lustro di minore benessere.
In quanto ai singoli criminali, fra di loro ce ne sono che abbiamo coccolato. Gente con contratti di lavoro ben remunerati, dipendenti di municipalizzate, destinatari di contributi per la disoccupazione. Tutti assistiti dal sistema di welfare, curati dalla sanità pubblica, abitanti delle zone più assistite e sovvenzionate. Gente che occupava il proprio tempo andando a ballare. Tra loro non ci sono denutriti, ma consumatori di alcolici e droghe. Che non è un segno di povertà, ma di opulenza economica applicata a deficienza mentale. Sento ripetere: vivono nelle periferie. Sostenerlo per fare sapere che si sa come si dice banlieue, è ridicolo, ma alla lunga è oltraggioso: in periferia vive tanta, ma tanta gente per bene, che lavora, si mantiene e chiede scusa se ti pesta un piede. Problemi ce ne sono anche nei centri cittadini, ma confondere il disagio sociale con le mitragliate sugli inermi è un’offesa alle persone e all’intelligenza.
Certo, gli squilibri fra una zona e l’altra del mondo esistono, creando gravi problemi. Occorre osservare, però, che è rimasta più indietro quella porzione del mondo che si è chiusa alla globalizzazione, mentre è molto andata avanti quella che l’ha accolta e sfruttata. Detto in modo diverso: non è la povertà che genera terrorismo, è il terrorismo che genera povertà. Inoltre, quegli squilibri spingono le masse di emigranti, in cerca di una vita migliore, ma è da irresponsabili confonderli con il terrorismo. Semmai il contrario: non è l’emigrazione che genera terrorismo, è il terrorismo che genera fughe ed emigrazione. Quelle masse di persone finiscono spesso nelle mani dei criminali, talora di terroristi, ma non sono criminali o terroristi. Vengono usate anche per far circolare gli infiltrati. Il terrorismo le sfrutta, ma non hanno la stessa matrice.
Il terrorismo ha ragioni diverse, variabili nel tempo e nello spazio. La natura comune consiste nell’inserirsi con la violenza e distruggere la stabilità di un mondo che considera nemico. Il terrorismo finanziato dall’est comunista, che abbiamo sperimentato lungamente, non puntava a prendere il potere, ma a destrutturarlo, impaurirlo, mettergli contro parte della popolazione, incitare al disarmo. Quello islamico, di oggi, vuole costringerci a lasciar mano libera a chi riduce in schiavitù intere popolazioni, sperando così di mettere in sicurezza le nostre cose. Vogliono terrorizzarci per essere liberi di praticare il terrore. Il peggiore errore che possiamo commettere consiste nel supporre che ci sia qualche nostra colpa, da scontare. Dove avremmo sbagliato? Alla conferenza di Parigi del 1918? Non scherziamo. Semmai nel supporre che la macelleria possa fermarsi in case altrui. Certo non è facendo crescere la ricchezza e consumandola, godendo la vita e gioendo dei consumi che portiamo male al mondo. In quel modo lo abbiamo reso migliore.
Errori tanti. Ne abbiamo commessi e ne commettiamo. Ma non abbiamo colpe davanti al fondamentalismo. Se non l’incapacità di trovare il sistema e l’equilibrio per farla finita.
Pubblicato da Libero