Politica

Terza Repubblica

C’è un filo che lega i timori circa il ritorno della violenza, lo stallo istituzionale e l’impallamento di una sinistra incapace d’essere progressista. Ne scrivo perché, da uomo della sinistra democratica (quindi antitotalitaria e anticomunista), sento che le arretratezze, le paure, le incapacità di questa parte politica costituiscono un ostacolo all’evolversi della nostra vita civile.

La violenza degli anni 70 non tornerà, ma ci vuole tanta incoscienza e superficialità per far spallucce davanti agli allarmi lanciati da Giampaolo Pansa. Che, oltre ad essere fondati, sono stati preveggenti. Non torneranno quegli anni perché non c’è più la guerra fredda e la contrapposizione ideologica. Non assisteremo allo sprangarsi, prima, e spararsi, poi, di fascisti e comunisti, perché si sono estinti o ridotti a residuati folkloristici. Era ora, ci hanno afflitto fin troppo a lungo. Ma mica esiste solo quella violenza lì: negli stadi ci sono tifoserie pronte a sfidarsi in guerre fra orde, senza sentire il bisogno di marchiature ideologiche.

Quando leggevamo, ragazzi, i proclami delle Brigate Rosse, le loro deliranti “risoluzioni strategiche”, ci domandavamo da quali pertugi uscissero dei militanti pronti a morire per così enormi boiate. Ma quel loro linguaggio non era esclusivo della loro allucinazione. Loro erano in guerra contro il Sim, lo Stato Imperialista delle Multinazionali, ma c’era anche un mondo vasto e politicamente organizzato che li aveva allevati e preparati, raccontando a quelle deboli menti che il male del mondo era il capitalismo. Voglio ricordare che lo stesso Enrico Berlinguer, già parte di una maggioranza di governo, già pronto a ritenere “esaurita la spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre”, farneticava circa il necessario “superamento del capitalismo”. Se ne dimenticano, quanti lo hanno ridotto a santino insipido. Fu per queste ragioni che Rossana Rossanda, dalle colonne del Manifesto, parlò di “album di famiglia”. Erano parenti. Senza quella vasta e diffusa scuola non ci sarebbe potuta essere una minoranza di feroci assassini.

La sinistra d’oggi parla di “mercato”. Non ha avuto il coraggio, e la dignità, di riconoscere la montagna di errori commessi, sperando di superarli senza condannarli. Il segretario del Partito Democratico è Pierluigi Bersani, che, da ministro, propose una “lenzuolata” di liberalizzazioni. Noi le criticavamo perché ci sembravano troppo poche, ma scrivevamo che quella era la direzione giusta. Solo che il problema si è spostato, e Bersani ha il dovere di accorgersene.

La sinistra ha conservato la matrice culturale della pretesa diversità. Non chiede più la fine del capitalismo, ma chiede ancora che la legittimazione a governare non sia frutto solo del risultato elettorale, bensì anche di una benedizione morale. E’ per questa ragione che abbiamo la peggiore giustizia d’Europa, ma non si riesce a riformarla degnamente: perché si attende che qualcuno s’incarichi di dividere i buoni dai cattivi, escludendo che questo diritto, questa capacità, sia nelle mani degli elettori. Tale atteggiamento non solo è figlio della cultura che idolò lo Stato etico, ma conduce a coprire ogni ribollire reazionario, purché indirizzato a sancire l’indegnità, l’irregolarità, l’illegittimità dell’avversario. Che, però, così diventa un nemico. Bersani non può non capire che se non si sbriga a sbattere la porta in faccia a Di Pietro, al gorgoglio ributtante di un giustizialismo che massacra il diritto, sarà lui il prigioniero, e l’altro il cacciatore che ingabbia la preda e ne ciuccia i voti.

Finché l’equivoco rimane, finché intere batterie giornalistiche continueranno a sparare annunciando al mondo che siamo nelle mani dei mafiosi, dei pedofili, dei razzisti, dei profittatori, e così via distillando odio, è chiaro che la nostra democrazia resterà zoppa e guercia. In quel pentolone sobbollirà il brodo dal quale spunteranno prima gli scemi, poi i bombaroli loffi, poi i militanti del dissenso, poi altri psicolabili. Giacché, in democrazia ed in libertà, che da noi ci sono e sono forti, nessuno sano di mente usa la violenza per far sentire a se stesso d’esistere. Ed ecco ritornato l’incubo, senza che sia necessario vivere negli anni 70.

Il nostro sistema istituzionale, il nostro assetto costituzionale, sono stati sfasciati. Sono quindici anni che i demolitori, da una parte e dall’altra, sono al lavoro. Non serve a nulla evocare le vestigia del passato, predicando la sacralità di una Costituzione che non solo non è sacra, ma è oramai ridotta a rottame. Se ne esce chiudendo la lunga agonia della prima Repubblica e chiudendo il capitolo smandrappato della seconda. Se ne esce disegnando una terza Repubblica, che ha bisogno di diverse basi costituzionali e politiche. Farlo, naturalmente, è compito e responsabilità di tutti, ma è dovere dell’opposizione, quindi della sinistra seria, puntare sul futuro, e non sul regolamento dei conti del passato.

Le difficoltà del governo sono evidenti, ma lo è anche l’assenza di alternative accettabili. La coalizione di maggioranza contiene contraddizioni irriducibili, ma quella d’opposizione contiene un male incurabile, alimentato dal qualunquismo e dalla pretesa di vincere a prescindere dalle urne. Va amputato. Se non si vuole affogare in questa palta, occorre riscrivere le regole e ridefinire le identità. La propaganda dell’odio, da una parte e dall’altra, l’aspirazione al governo dei buoni (sconfitti elettoralmente), che avvelena la sinistra, servono solo a conservare il peggio, sfregiando la democrazia.

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