Politica

Teste perse

Un Paese che ha perso la testa. Una classe dirigente che ha perso il senso dell’orientamento. Da una parte il presidente della Repubblica che va al Parlamento europeo a reclamare la fine dell’austerità, dimenticando che l’Italia è in avanzo primario del 1995, sicché giustamente rigorosa (con quel popò di debito pubblico) da tredici anni prima della crisi finanziaria, e dimenticando che due governi non austeri, ma recessivi e subordinati ai dettami altrui, li dobbiamo proprio all’iniziativa del Quirinale. Dall’altra la Corte dei conti che s’avventura nel terribilmente ridicolo di supporre che si debbano contabilizzare, nel patrimonio nazionale, da contrapporre al debito, anche il Colosseo e il Canal Grande, oltre a Fellini e Cesare. E perché non l’amore per la mamma e il dolce suono dei mandolini? Se è una strategia alla Capitano Blasi (Alberto Sordi), nel film “I due nemici” (l’altro era David Niven), ovvero far sapere d’avere le pezze al sedere e dimostrarsi stupidi, in modo da non essere attaccati, se è questo lo scopo: siamo prossimi a far centro.

Dal 1995 (con la sola eccezione del 2009) lo Stato italiano incassa più di quanto spenda, prima di pagare gli interessi sul debito pubblico. Siamo stati i più austeri e rigorosi, mentre gli altri, francesi e tedeschi in testa, facevano l’opposto. Ciò dovrebbe convincerci ad abbattere il debito pubblico, che invece lasciamo crescere. Non solo: nell’aprile del 2012 abbiamo introdotto, a larghissima maggioranza (qui scrivemmo contro), il pareggio di bilancio nella Costituzione; un mese prima, a marzo, firmammo il Fiscal Compact, poi ratificato a luglio, con il quale garantiamo la riduzione del debito pubblico, fino alla soglia del 60% sul prodotto interno lordo, per un ventesimo all’anno (5%). Queste cose sono passate fra le fanfare della ritrovata credibilità. Ora che si fa? si va al Parlamento europeo a dire che si deve piantarla con l’austerità? Non ha senso.

Invece di rivendicare il rigore praticato andiamo a reclamare il deficit piatito. Semmai dovremmo ripetere a noi stessi quanto sia micidiale e masochista la ricetta che prevede maggiore tassazione per inseguire la spesa. E dovremmo ricordare ai colleghi europei che l’Italia resta un portentoso contributore netto dell’Unione, sicché ci siamo arcistufati di prendere lezioni di buona creanza in un club che abbiamo fondato, che finanziamo e dove ci trattano da minorati. La fine dell’austerità, da noi, non deve significare maggiore spesa pubblica improduttiva, perché quello è il male, non il rimedio, ma assai minore spesa per assai minore pressione fiscale. Allora sì, che ci riprendiamo. (L’esatto opposto, tanto per non dimenticare, dell’orribile decreto Imu-Bankitalia).

Mentre crescono i no-euro (per colpa dell’eurosetta) crescono, dall’altra parte, i no-austerità e pro-spesa. I primi non sanno quel che significa. I secondi preferiscono non parlare della crescente potenza tedesca, da cui si fanno blandire e presso la quale godono a scodinzolare.

In quanto alla Corte dei conti, ove la nullafacenza è pari solo alla supponenza, oltre a ricordare che è loro responsabilità se ci siamo inutilmente esposti al pubblico ludibrio sulla misurazione della corruzione, sarà bene la smettano di credere di potere processare le agenzie di rating. E’ grottesco. Quando noi scrivevamo contro i loro giudizi, puntando il dito verso il ciclopico conflitto d’interessi, ci dicevano che erano un oracolo. Poi è cambiato il vento, ma ce la si prende con il termometro anziché con la febbre. Il problema non sono quei declassamenti (siamo debitori affidabili, ma senza cambiare rotta il nostro debito è insostenibile nel tempo), bensì che risultano vincolanti per gli investitori. E’ un problema di regole, non di misurazioni. E, in ogni caso, a fronte del debito si può mettere patrimonio negoziabile, che noi italiani abbiamo in misura superiore a quella di altri (francesi compresi). Mentre pretendere di metterci patrimonio non in vendita e non vendibile è da fessi. Lo sanno, alla Corte, cosa significa “inestimabile”? Ecco, appunto, tale è la Torre di Pisa (e tralascio il fatto che il Financial Time abbia usato, per illustrare il concetto, subito copiato dai siti italiani, la Cappella Sistina, che si trova in Vaticano).

Dalla Corte hanno fatto sapere che ancora non ci sono contestazioni formali, ma solo un’indagine in corso. Lo segnalo a Carlo Cottarelli, commissario per i tagli alla spesa pubblica: ecco un settore nel quale sforbiciare. Alla grande. Alleggerendo il deficit, migliorando l’ecosistema ed evitando di far credere agli anglofoni che in questo Paese si possa finire sotto processo perché non s’è messo in conto vendita un Giotto. Magari ci alzano il rating.

Pubblicato da Libero

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