Per molti tifare conta più che ragionare, in che aiuta a capire la non ragionevolezza di talune scelte personali e collettive. Colpisce e diverte, in tal senso, un sondaggio. I sondaggi, se fatti bene, aiutano a orientarsi, non tracciano una rotta con precisione. In questo caso rilevante non era tanto il tema (contante ed evasione fiscale), quanto la distribuzione delle risposte.
Capita, infatti, che il consenso a un determinato indirizzo, che si suppone sia del governo, sia netto fra quanti, alle elezioni, votano le forze politiche che compongono il governo, mentre marcato sia il dissenso di chi vota per quelli che poi si trovano a essere oppositori. Le domande dei sondaggi sono talora poste in modo da indirizzare la risposta, per esempio usando argomenti già scartati come inaccettabili (sarebbe favorevole a una tassa sulle merendine?), ma la forza della suggestione è inferiore a quella dell’appartenenza, talché chi crede di sapere che quella proposta è abbracciata o detestata dai propri beniamini risponde di conseguenza. Per forza che il buon senso finisce spesso in minoranza, perché trionfano le tifoserie.
È normale che chi si trova a governare sia maggiormente criticato per quel che fa o non fa, mentre chi è all’opposizione per quel che dice o propone. A guidare le critiche, o i plausi, dovrebbe esserci un po’ di competenza e di memoria, in modo da sapere cosa è impossibile e cosa è il contrario di quel che si fece o si disse. Tutta roba inutile, però, se ci si divide per schieramenti e affiliazioni piuttosto che per proposte e riflessioni. Il che genera la gara a chi urla di più: se non l’acutezza si premia l’acuto. È ben possibile prendersela con chi calca il palco, ma sarebbe utile guardarsi e riconoscersi fra chi affolla la platea.
DG, 15 ottobre 2019