Il “tiro al burocrate” è un gioco facile e che costa poco, perché si può sparare molto e non lo si becca mai. Se il potere burocratico è enormemente cresciuto, fino a divenire preponderante, è perché il potere politico ha selezionato soggetti sempre più deboli, con una incipiente tendenza all’analfabetismo istituzionale. Se i ministri passano, come ha ripetuto Matteo Renzi (ma è vecchia), mentre i burocrati restano è perché i passanti non sono capaci di lasciare traccia. Vuoi perché in carica troppo poco tempo, vuoi perché privi di vocazione, alla nascita. Circa la prima cosa, appunto, è proprio Renzi ad avere fatto cadere un governo prima che compisse un solo anno d’età. Siccome il problema del rapporto fra burocrazia e indirizzo politico è reale, affrontiamolo nei suoi termini e facciamo proposte chiare.
Non esiste Stato senza burocrazia, ma può essere soffocato dalla sua lievitazione. Lo Stato apparato ha bisogno di continuità, anche al succedersi delle guide politiche. Altrimenti sono guai e si perde il controllo. Ritenere che i burocrati possano essere di nomina politica, realizzando uno spoil system alla ribollita (all’amatriciana non è più di moda), come quello nato dalle riforme Bassanini, significa deresponsabilizzarli e indurli troppo in tentazione connivente. Se ne esce facendo funzionare gli (esistenti) organismi di controllo e verifica. Magari rifondandoli. Il problema è che per valutare un burocrate si deve affidargli un compito chiaro e misurabile, il che riporta alla chiarezza delle norme, quindi alle colpe della politica. Se gli si affida la gestione del caos, nell’ignoranza del ministro (in)competente, poi non si può valutare un bel nulla.
Attenzione, però, a non fare confusione fra la burocrazia dello Stato apparato e certe invasioni mandarine. I governi dipendono dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei conti perché sono composti da tremuli ignoranti, sicché per scrivere hanno bisogno dei primi e per contare dei secondi. Entrambe forniscono il personale di cui si compongono gabinetti e uffici legislativi. Entrambe poi giudicano gli atti prodotti dai colleghi. Qui la soluzione è radicale: si cambi la legge (in parte la stessa Costituzione) che assegna a organi giurisdizionali anche compiti di consulenza governativa. Posto che, comunque, credo la Corte dei conti possa essere chiusa senza che in nulla ne risenta la trasparenza dell’amministrazione. Anzi. Vedo che c’è una detestabile tendenza a prendersela con questo o quello, quando a essere sbagliato è il sistema che consente la doppia natura, innescando la commistione fra le stesse.
Né si deve fare confusione fra la burocrazia che innerva l’amministrazione e quella che crea veri e propri corpi separati, come la Ragioneria generale dello Stato. I cittadini non sanno cos’è la “bollinatura”, ma dicesi tale il visto di conformità e copertura amministrato dalla Ragioneria, senza il quale leggi e decreti non hanno diritto di cittadinanza. E’ a tutti evidente che la funzione ragionieristica (tenere i conti) è indispensabile, com’è evidente che se viene amministrata da una singola amministrazione, separata, questa diventa centro di enorme potere. Quel che è successo. Sarebbe saggio portare tale funzione sotto la guida della presidenza del Consiglio, perché garantire conformità e copertura è atto eminentemente politico, consustanziale al dirigere il governo. A patto, naturalmente, non si supponga la politica possa derogare a somme e sottrazioni, le cui regole sono standardizzate da qualche secolo.
Far funzionare lo Stato apparato richiede che due cardini siano solidi: il burocrate, alto o basso che sia, risponde dei risultati amministrativi, a fronte di compiti e poteri chiari, in via disciplinare e con la carriera; il politico risponde dei risultati complessivi, comprensivi dell’attività amministrativa, davanti ai cittadini, che giudicano con il voto. Tutti rispondono davanti al giudice penale, ma questo vale per i reati, non per la normalità (sarebbe come sposare le persone avvertendole che per l’uccisione del coniuge ne risponderanno in sede penale). Da noi le cose non funzionano perché i burocrati hanno ragione a dire che le leggi sono tante e contraddittorie, sicché non si sa chi sia responsabile di cosa, e i politici hanno ragione a dire che le loro idee s’impantanano sempre nelle sabbie mobili delle burocrazie. Facile prendersela con i burocrati, che meritano più d’un severo giudizio, ma sarà bene ricordarsi che se la truppa gozzoviglia è perché al quartier generale sono crapuloni, e se i sottufficiali si fanno gli affari loro è perché gli ufficiali sono incapaci. Se a fare il ministro mandi chi, una volta salito in macchina, deve chiedere dove si trova il volante e come si fa ad accendere il motore, poi non puoi lamentarti se il meccanico invade il salotto, dato che senza di lui puoi adibire la lussuosa vettura a nido di piccioni.
Pubblicato da Libero