L’alternativa non è fra il pencolare dal lato degli Stati Uniti o da quello dell’Unione Europea, l’alternativa è fra l’essere trainati o trainanti. Vale dal punto di vista politico come da quello industriale: o si tiene la Germania dentro il nucleo più coeso dell’Ue, partecipandovi senza doppiezze, oppure si andrà a rimorchio di quel traino, accontentandosi di ruoli minori. Una parte importante della destra dice di volere la comune difesa europea, ma non si può certo pensarla senza una maggiore integrazione politica. Una parte importante della sinistra dice di volere maggiore integrazione politica europea, ma non è oggi pensabile se non passando dalla difesa. Chi è capace di scegliere potrà trainare, altrimenti sarà trainato, ma non si va né con Orbán né con Maduro.
Una parte non trascurabile della politica italiana, a destra e a sinistra, pensa che si tratti di trenini giocattolo e usa il linguaggio del gioco demagogico, fatto di speranze di pace e alternative fra cannoni e siringhe. Provano a lucrare sulle paure (legittime) di non pochi, ma il pericolo maggiore sono proprio loro, con la pretesa di sostituire la propaganda alla realtà. La guerra è già in corso e si svolge da un’altra parte, in Ucraina. Finché riusciremo a tenerla lì ne subiremo solo i contraccolpi ibridi. Poi, non si riuscisse a contenerla, si estenderà all’Europa che si trovava dall’altra parte della cortina di ferro, in una tensione continua che ci entrerà in casa come in casa l’abbiamo avuta.
In corso non c’è soltanto la guerra, ma anche la reazione a quella. Le nostre imprese del settore difesa – a cominciare da Leonardo – già operano accordi con i francesi, con i tedeschi e con altri ancora. Se non ci si vuole rassegnare a un ruolo ancillare hanno bisogno di copertura politica e investimenti, oppure dovranno acconciarsi a crescere in quel mercato (ricco di soldi, occupazione e innovazione che ricade sulla vita civile) svincolandosi dall’indirizzo politico. Che ci farebbe tornare alla stagione in cui le imprese di Stato (Eni) facevano la politica estera.
Per tutti i Paesi dell’Ue la scelta è fra il favorire le cooperazioni rafforzate, quindi una spinta asimmetrica all’integrazione politica, oppure il finire rimorchiati dai più forti. Saranno l’asimmetria e le cooperazioni a generare la riscossa europea, che poi attirerà gli altri. Come successe e ancora succede.
Taluni sono convinti che al linguaggio (più volgare che ruvido) della Casa Bianca e a quello (più indemoniato che minaccioso) del Cremlino si debba rispondere a tono e che il non farlo sia sintomo di debolezza. Penso il contrario e che la ricerca della forza nei vocaboli è un segno evidente di debolezza politica. Non per nulla la Cina non partecipa a quella gara dei toni, visto che nessuno ne può mettere in dubbio la potenza sostanziale.
Non abbiamo alcun interesse a prendere parte al vociare delle facce torte, ma dobbiamo ricordare che esistono trattati che non sono stati denunciati e che vanno rispettati. Dobbiamo imparare a difenderci come se la Nato non esistesse più, ma dobbiamo continuare a fare politica ricordando che quel legame esiste e tiene unite le difese delle democrazie occidentali. Non ci si rende più forti esprimendosi con il linguaggio del trivio, ma dimostrandosi capaci di potere scegliere una volta giunti al bivio. Non tutti gli europei sarebbero pronti? Arriveranno. Può l’Italia temporeggiare con loro? Sì, ma pagando il prezzo del declassamento economico e politico. Invertendo la scelta che ci ha consentito di diventare ricchi conservandoci liberi.
Barcamenarsi senza indirizzarsi a una rotta, alzare le vele senza levare l’àncora, strizzare l’occhio a dritta e sorridere a manca può sembrare furbo ma conduce soltanto all’arenarsi restando indietro. Nessuno manderà la cavalleria dagli Usa e che si apprezzi il ruolo di guastatori europei serve solo a farsi guastare. La nostra storia e il nostro presente sono europei e un Paese è forte se ne è consapevole chi governa non meno che chi gli si oppone.
Davide Giacalone, La Ragione 11 dicembre 2025
