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Trappola albanese

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Il problema non è il costo dell’“operazione Albania”, che pure non è un dettaglio. Lo ripeto: l’idea di utilizzare zone fuori dal territorio italiano e Ue (o di crearne di extraterritoriali da noi) è buona; l’idea di far sottostare al diritto italiano zone esterne al territorio è inutile.

Se, per evitare di riportare in Italia quanti si sono già portati in Albania, si sceglie per quella destinazione solo i provenienti da Paesi “sicuri” (il cielo sa cosa significhi), ovvero i facilmente rimpatriabili, l’operazione è inutile perché si può farlo dall’Italia. La sfida albanese consisterebbe solo nel farlo in tre mesi – tempo massimo di permanenza colà -, ma è una sfida con noi stessi.

Se, per evitare che il magistrato di turno rigetti i rimpatri “sicuri”, come da ultimo successo ieri a Catania, si mette l’elenco dei Paesi “sicuri” in una legge si pesta l’acqua nel mortaio, perché il giudice non è chiamato a dire la sua su questo o quel Paese, ma sul rimpatrio della persona che ha davanti. E nessun Paese è sicuro a prescindere. Ovviamente.

Si può sperare di rubricare tutto questo come scontro fra legislatore e governante da una parte e giudiziario dall’altra, ma serve solo a convincere gli sprovveduti e confondere le idee. Serve a far credere che ci sarebbe la soluzione universale se, per partito preso, non la si sabotasse. Ma è pura fantasia.

In ogni caso non si chiede a queste persone ripescate in mare: tu che sai fare? Così, giusto per sapere se mi puoi essere utile.

Davide Giacalone, La Ragione 5 novembre 2024

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