Politica

Trasformismo e bipolarismo

Sicché Francesco Rutelli s’appresta a lasciare lo schieramento che lo candidò alla presidenza del Consiglio, per congiungersi a chi, in quell’occasione, votò per il suo avversario e con quello si fece eleggere. Se si dovesse fare la conta dei partiti in cui Rutelli ha militato, sempre dirigendoli, ci vorrebbe il pallottoliere.

Se si dovesse tirar le somme della loro sorte, si dovrebbe solidarizzare con chi s’accinge ad accoglierlo. Ma non è il trasformismo, ad interessarmi, bensì di quale altro problema è termometro.
La vittoria di Pierluigi Bersani, alla segreteria del Partito Democratico, stabilisce, in maniera inequivocabile, la prevalenza culturale ed elettorale, nella sinistra, degli ex comunisti. Scrissi che era il migliore candidato, tutto sommato il più credibilmente liberale, e non ho cambiato idea. Ma la sua forza è quella dell’apparato comunista, come si può ben vedere anche dalle percentuali dei voti, divisi per regione ed aree d’influenza. Per Prodi e per Veltroni, le primarie furono del tutto fasulle. Anche questa volta le cose sono andate in modo farlocco, ma la competizione era reale, quindi si sono dovute muovere le truppe cammellate. Bersani ha vinto mobilitando quel che resta del Pci-Pds-Ds, ed ha preso il Pd. Ora, però, si pone un problema: in tutte le democrazie serie del mondo, sia la destra che la sinistra sono antiautoritarie, sono antifasciste ed anticomuniste, come fanno i democratici italiani ad essere guidati da uno che fu comunista fin quando il comunismo non stramazzò, che militò in un partito pagato dall’imperialismo, dispotico e genocida, sovietico, e che non ha mai rinnegato il suo passato? E non è un problema d’estetica, o maniacale, ma di sostanza, perché gli elettori non daranno mai la maggioranza dei voti, né mai l’hanno data, a chi si trova in quella condizione. Possono votare Antonio Bassolino, alleato di Bersani, ma come votarono Achille Lauro, consegnandogli una città, mica l’Italia.
Le Rosy Bindi non hanno di questi problemi, perché, in realtà, sono assai più estremisticamente berglingueriane di Bersani. La parrocchia li mise nella Democrazia Cristiana, ma il loro manicheismo etico ha le medesime radici delle dittature che insanguinarono l’Europa. I Romano Prodi neanche, hanno di questi problemi, intanto perché anche loro fecero affari con l’Unione Sovietica, anche loro ebbero canali di collegamento con il sottofondo oscuro di quel mondo (ancora aspettiamo di sapere chi gli diede l’indirizzo di via Gradoli, quando colà si trovava Moro, non i travestiti), e se li avessero, i problemi, se li farebbero passare, perché solo la sinistra può dar loro l’occasione di rimettere le mani sul governo del Paese, ove s’addestrarono alla scuola del sottogoverno democristiano. Ma il resto d’Italia, composto da tanti elettori democratici e di sinistra, che credono nella libertà, nel progresso e nella giustizia sociale, il problema se lo pongono. Eccome.
Se n’è accorto pure Rutelli, segno che dev’essere evidente. Gliecché, però, il muoversi al centro ha scarso senso, se non si ha il coraggio di pensare ad un diverso assetto istituzionale. Perché se ce ne stiamo come ci troviamo, con queste istituzioni e questo sistema elettorale, il centro o si rassegna a essere il minore di tre poli, posto che il maggiore prende tutto, oppure s’allea con la sinistra, minacciando, pertanto, di riportare Rutelli ai suoi compagni. Due sono le alternative, a tale illogica condizione: a. star fermo ed aspettare il “dopo”, intendendosi per tale il tempo successivo alla scomparsa di Berlusconi, sembrando, così, una congrega d’avvoltoi; b. muoversi e puntare, qui ed ora, alla riforma costituzionale, somigliando, così, ad una forza politica.
La seconda strada comporta la sintonia con l’attuale maggioranza. I pilastri sono due: presidenzialismo, da una parte, e Parlamento eletto senza premio di maggioranza, dall’altra. Ci sono molteplici varianti, in questo schema, compreso il cancellierato alla tedesca. Non è questa la sede per approfondire. Qui mi preme sottolineare un punto: o questa legislatura si trascina carponi, nel massacro delle congiure di palazzo e nell’esplosione di tutti i conflitti interni alle due coalizioni, esaltando il sanguinario gioco del tutti contro tutti; oppure le due opposizioni si sfideranno sul fattivo terreno del chi riesce ad intessere un rapporto riformista con la maggioranza, mettendo così in maggior dubbio l’equilibrio fra i due governi. E, per essere il frutto di quindici anni di supposto bipolarismo, non c’è niente male.

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