Politica

Tre cose da farsi

Abbiamo sprecato tempo e occasioni. Nelle migliori condizioni, con prezzi delle materie prime bassi e spinta della Banca centrale europea, il governo non ne ha approfittato per comprimere la spesa pubblica, tagliare il debito e lasciar correre occupazione e produzione, ma ha praticato la spesa nell’illusione che facesse crescere i consumi, usandola per irrigare l’orto elettorale. La Repubblica dei bonus è un fallimento: precipitiamo il doppio quando si arretra e cresciamo la metà quando si va avanti. A questo punto si devono fare tre cose.

La prima è non attendere il 27 di settembre per avere i nuovi dati Istat e il 15 ottobre per presentare la legge di stabilità. Si faccia subito. I dati sono comunque tristi, perché la crescita sarà inferiore a quella dell’anno scorso, dimostrandosi infondate tutte le diverse previsioni. Non era inatteso, tanto che qui lo avevamo anticipato. Non c’è bisogno di sciocchi propagandismi, a base di gufi e ottimismo beota, ma di potere veramente tirare fuori le forze. Gli italiani che lavorano sono troppo pochi, nettamente meno che nel resto d’Europa, quindi servono deregolamentazioni e larghe aperture anche ai lavori temporanei. Basta con la retorica della “precarietà”, quel che conta è lavorare, produrre e guadagnare. I tagli alla spesa corrente non devono essere annunciati, ma fatti, perché si traducono in costi che troncano le gambe all’Italia che cammina. Le semplificazioni burocratiche non devono essere programmi, ma atti che riducano l’estensione della mano pubblica. In tutto il settore pubblico, dalle scuole ai tribunali, deve valere il merito. Chi si presenta per riscuotere lo stipendio e non per lavorare deve prima essere impoverito, poi cacciato. Tutto questo deve vedersi, impipandosene delle proteste, perché altrimenti non funziona e affondiamo.

La seconda consiste nello smetterla con la vigliaccata di raccontare che il problema sono i vincoli europei. La malattia è una politica svincolata dalla realtà dei conti. Chiedere più deficit e più debito non solo non serve a crescere, difatti li pratichiamo e non cresciamo, ma ricorda la condotta del drogato che chiede droga per non andare in astinenza. Semmai si dovessero contrattare sforamenti significativi si dovrebbe farlo per accompagnare riforme profonde, come hanno fatto i tedeschi fra il 1999 e il 2005. L’Italia è il Paese più beneficiato dai tassi a zero, siamo quelli che hanno risparmiato di più sul mostruoso debito pubblico. Sentire dire, come è capitato, che quei tassi creano problemi alle banche serve solo a indebolire la Bce e rafforzare l’opposizione tedesca. Una micidiale zappata sui piedi. Certo che quei tassi dovranno risalire, dato che distorcono il mercato, ma se succedesse subito sarebbe una rovina.

La terza cosa ha a che vedere con il nostro tramestio politico interno: si avverta che quale che sia il risultato del referendum costituzionale non sarà mai tale da togliere credibilità e stabilità all’Italia. Matteo Renzi non ha commesso solo il grave errore megalomanico di personalizzare quella consultazione, l’ha anche travestita da prova che l’Italia è in grado di cambiare senso di marcia, continuando a ripetere che un risultato negativo sarebbe il trionfo del caos. Tale messaggio ha travalicato i confini. La giuliva irresponsabilità deve cessare. Gli italiani voteranno come credono, senza che questo sposti di un capello la responsabilità di chi li governa o si candida a governarli.

Davide Giacalone

Pubblicato da Il Giornale

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