Il voto greco è un incrocio fra una saga e una sagra. La saga, al momento, si ferma, anche perché, altrimenti, alla sagra non va più nessuno. I greci scelgono la continuità, non avendo mai messo in dubbio (checché credano gli straparlanti d’altri lidi) la loro collocazione dentro l’euro. Attenzione, però, il fatto, accertato e ribadito, che la Grecia non intenda uscire dall’euro non significa che sia cessato il pericolo di vedere l’euro uscire dalla storia. Lo dico da europeista eurista.
Hanno votato tre volte in un anno. La prima, a gennaio, dando la maggioranza a una sinistra che prometteva di riuscire a far tagliare il debito greco. Andarono al governo alleandosi con l’estrema destra, poi persero l’estrema sinistra. Il debito non è stato tagliato, mentre lo era stato, due volte, nei mesi precedenti. Sono tornati alle urne a luglio, per un referendum che vedemmo subito inutile. E tale fu, perché i greci votarono su un testo che, a quel punto, neanche esisteva più, salvo delegare la trattativa a un governo che accettò le condizioni dei creditori. Né era possibile altrimenti. Hanno rivotato ora, premiando la continuità, ma, ancora una volta, costringendo i vincitori a un governo di coalizione. Si può restare affascinati dall’abilità trasformista di Alexis Tsipras, come si può constatare che Yanis Varoufakis è libero di affascinare il maldipancismo confusionario d’altri, ma in Patria becca teste e lische. La sostanza non cambia e la realtà prevale sul vociare dei comizi: dentro la moneta comune valgono le regole di compatibilità, restando escluso che i debiti contratti in una lingua siano pagati in un’altra.
Tutto ciò non stupisce e lo vedemmo per tempo. Ma non significa che ora tutto filerà liscio. I mali dell’euro, la sua inadeguatezza istituzionale, la convivenza di debiti diversi, paganti interessi diversi, non sono guariti, sono solo sotto l’effetto della morfina (provvidenzialmente) iniettata dalla Banca centrale europea. Se il tempo dell’antidolorifico lo usi per curarti puoi ragionevolmente contare sul superamento delle difficoltà, altrimenti il risveglio sarà duro. E lo sarà, perché il debito greco resta ingestibile, mentre in casa nostra si è già passati a considerare un successo il farne dell’altro. La Bce ha comprato tempo, ma i greci lo hanno passato fra saghe e sagre, con il risultato che il pubblico s’è stufato e non si muove da casa. Noi chiamiamo “tesoretto” il fare altri debiti.
Sarebbe interesse collettivo, invece, chiedere una vera conferenza europea del debito, sottraendo la materia agli incontri intergovernativi e alle ricette di presunti comitati di presunti esperti. Quando i mali sono collettivi le terapie sono politiche. I contabili servono quanto gli esaminatori di sangue e urine: tanto, ma non salvano e non curano. Una conferenza del debito, inoltre, avrebbe il pregio di partire non dalle difficoltà indotte da classi politiche mediocri, che prendono i voti spendendo i soldi di chi non vota ancora, ma da un cimento epocale, cui le migrazioni sottopongono l’Europa. Ci siamo uniti perché ciascuno era troppo piccolo per contare nel mondo, ora siamo meta di arrivi continui perché abbastanza grandi e ricchi da attirare gente. Questo cambio di prospettiva e la gestione del debito non sono materie diverse, ma due facce, non metaforiche, della medesima moneta.
Il ciclo greco insegna che neanche chi ha le nocche nello stipite desidera allontanarsi dall’uscio europeo. Serva di lezione per i tanti imbonitori, seguaci di monete immaginarie, offerte quali ossi da rosicare a opinioni pubbliche disorientate. Ma nessuno creda che quel dolorare fra i piedritti dimostri la solidità della porta e l’impossibilità che cada. Non solo l’equilibrio è ancora instabile, ma qualche volta sembra di vedere certe rovine, o certi incroci di campagna: un sontuoso portale s’erge a monito, impedendo l’ingresso o la fuga, ma tutt’intorno mancano le mura.
Pubblicato da Libero