Politica

Troncio Rai

Sembravano Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello nell’epica scenetta del “troncio”. Che, parlando di Rai, si resta in tema, visto che quella risale alla gestione di Ettore Bernabei. Così come anche la cacciata dei due. Perché va bene far ridere, ma rispettando le istituzioni (la scenetta evocante un Gronchi cadente, vista con gli occhi di oggi è di un’innocenza disarmante). Insomma, Matteo Renzi, capo del governo e capo del partito, con Antonello Giacomelli, sottosegretario allo sviluppo economico, con delega alle radio e alle televisioni, sono apparsi come i due del troncio.

Dice Renzi: abbiamo sintetizzato in un documento di tre pagine quel che vogliamo la Rai diventi. Il solito pastone sulla più grande industria culturale, che anche l’amanuense incaricato di compitarlo s’abbioccò a mezza via. La riforma, aggiunge, vogliamo approvarla in modo da farci le prossime nomine, senza ricorrere ancora alla Gasparri, che la Rai non si può certo governarla con la legge che porta quel nome (questo lo disse tempo addietro). Ha ragione. Capirei si trattasse di Pietro, che l’11 febbraio del 1929 firmò i Patti Lateranenzi (poi concordato), con il cavalier Benito Mussolini. Ma questo si chiama Maurizio ed era ministro nel governo del cavaliere. Già, ma anche giovine seguace dell’altro cavaliere. Se il governo Renzi dura, anche Gasparri sarà rivalutato. Anzi, è già avvenuto, perché, dice Renzi: Se volessimo mettere le mani sulla Rai ci basterebbe la sua legge. Appunto. Scusi, gli domandano, ma per approvarla entro luglio farete un decreto? Giammai, risponde chi aveva già lasciato intendere che ci sarebbe stato il decreto, che è poi il solo modo per avere quella legge in tempo. Segno che al Quirinale non c’è sciboletta, e questa mi pare una buona cosa. La nostra proposta, argomenta Renzi, è destinata a far uscire i partiti dalla Rai.

Infatti: un consigliere d’amministrazione sarà nominato dalle maestranze, che è una grande novità, due dal Senato, due dalla Camera, due dall’azionista, quindi dal governo, che nomina anche l’amministratore delegato. Che, rifatti i conti, significa che i partiti restano nella Rai e il governo la domina non solo con la maggioranza in consiglio, ma nominando il vero capo: l’amministratore delegato. La Gasparri, insomma, è troppo moscia. E mi sa che Maurizio se la prende.

Vianello fa la parte del giornalista, che interroga un villico, Tognazzi, intento a scalpellare un enorme tronco, che chiama troncio. Dopo varie domande si capisce cosa intende farne: stecchini da denti. Quanti stecchini si ricavano da un troncio? Uno. Uno? e quanto tempo ci vuole? Un anno. Surreale e divertente. Renzi e Giacomelli erano solo surreali.

Pezzo da repertorio sul canone: Renzi dice che la sua scuola di pensiero sarebbe per l’abolizione. O bella, quella è la mia, di scuola, che, infatti presuppone la vendita della Rai, non che il governo l’amministri in proprio. Ma, insomma, pare ci sia una scuola parallela. Ma quale? Il mistero s’infittisce quando Giacomelli annuncia: la mia scuola la pensa diversamente. Due scuole! Ma quali? I due erano assieme nella Margherita; assieme nell’Ulivo; assieme nel Pd; tutti e due toscani, e si sente, uno di Firenze e l’altro di Prato, con meno distanza che c’è fra due quartieri di Roma; amministratori locali. Di quali scuole parlano? Soccorrono ancora Tognazzi e Vianello: “Tito, te tu hai ritinto il tetto, ma nun t’intendi tanto di tetti ritinti”. Mamma e figliolo, nella bella ‘asetta toscana, si brontolano sul tetto ritinto. Il problema, nella scenetta, era trovare un finale. Anche per Renzi e Giacomelli il problema è trovare il finale: se un si fa la riforma, tocca loro sobbarcarsi l’ingrato onere del potere in Rai; se la riforma si fa, allora non solo gli tocca prendersi la Rai, ma con più forza e potere che pria. Mi sa che faranno buona la prima.

Già, ma a che serve star sempre a criticare? Si facciano delle proposte! Subito: vendita della Rai; fare cassa prima che tutta quella roba non valga più niente, annientata dal digitale; consegna delle maestranze non al sistema jugoslavo della cogestione (morì, il maresciallo Tito, duole ricordarlo, ma morì, e non era quello del tetto ritinto), ma alle gioie della competizione e della meritocrazia; conservare una rete in mano statale, per ritrasmettere la produzione dell’era Bernabei. Meglio rivederla in replica, piuttosto che riviverla.

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