Politica

Truppe cammellate

Dalle truppe cammellate a quelle prezzolate. Dovevano incarnare la retorica della classe dirigente scelta dal basso, segnalano quanto in basso sia caduta la guerra fra gruppi rivali. A definirle farcite di brogli non sono gli avversari della sinistra, ma il presidente (Orfini) e il vice presidente (Guerrini) del Partito democratico: questa volta, sostengono, ha votato meno gente perché sono mancate le truppe cammellate (mercenari arruolati dai colonizzatori). Quindi prima erano truccate. A detta loro. Peccato che questa volta si sono distribuiti anche soldi al di fuori dei seggi, sicché può vantarsi una certa continuità. Orfini s’è anche lasciato andare: questa volta non c’erano le file dei Rom. A Milano c’erano quelle dei cinesi. Il presidente del Pd ha preso una piega razzista e discriminatoria, o si rende, tardivamente, conto che per votare occorrerebbe avere diritto al voto?

Qui lo scriviamo fin dal primo momento: quando un voto non è regolato e controllato altro non è che una manifestazione di propaganda. Legittima, ma nulla a che vedere con le primarie di altri Paesi, regolate per legge. All’inizio servirono per far finta che Prodi e Veltroni non erano stati scelti dai vertici, ma dalla base. Non furono meno farlocche, ma aiutavano a passare qualche ora in compagnia, preparandosi alla campagna elettorale. Il passaggio surreale si ebbe nel 2013: fecero le primarie per stabilire chi dovesse essere il presidente del Consiglio; le vinse Bersani battendo Renzi; solo che a Palazzo Chigi c’è il secondo.

Sono state anche usate per fornire qualche sorpresa: i candidati (locali) indicati dai vertici, che sarebbero dovuti essere benedetti dalle primarie, in quelle furono battuti. Oibò, che siano una cosa vera? Il passo successivo è arrivato in automatico: se le candidature sono contendibili e se si tratta d’incolonnare truppe e far funzionare il caporalato elettorale, meglio darsi da fare. Così arrivano i camioncini di cinesi, che a Milano sono stati accolti con gioia multicolore, laddove avrebbero destato sospetto, e forse sdegno, se fossero stati siculi o calabresi. A Roma prende corpo una strana massa di persone, che esce da casa, va alle primarie, versa l’obolo e poi vota scheda bianca, o la annulla. Gente curiosa, o inventata. A Napoli, città indispettita per la sfida che la Repubblica dei bonus ha mosso alla munificenza laurina, compaiono i dispensatori di contante. Soldi che servono, dicono, per consentire ai poveri di votare. Il comandante li faceva anche deambulare.

Taluni esponenti della sinistra provano ad obbozzare una difesa: noi le primarie le facciamo, altri no, oppure: da noi vota tanta gente, mica come quella roba on line degli ortotteri. E’ vero, altri non fanno le primarie. Ma sono una finzione, un teatro, prive di regole e garanzie. Anziché recitare tutti la stessa commedia sarebbe saggio fare una legge. In quanto al paragone con i frinenti computerizzati, capisco la crisi, capisco il dramma, ma se quello è il paragone che la sinistra si sceglie, in quanto a democrazia e diversità di opinioni, stiamo freschi.

Ma c’è una cosa, che supera tutte le obiezioni estetiche e ogni pratica d’intrallazzo: nel mentre ci si rappresenta come innamorati persi delle primarie, con i militanti intenti (anche se non capiscono una parola di italiano) a scegliersi i rappresentati, si vara una legge elettorale nazionale in cui non solo il capolista è scelto dall’alto e non sottoposto al voto di preferenza, ma una consistente quota di parlamentari sarà determinata dal premio di maggioranza, sicché promossa grazie a un meccanismo per cui l’elettore non è che non vota, ma manco conoscerà mai chi ha fatto eleggere. Succederà che chi vince le elezioni potrà avere la maggioranza assoluta degli eletti con il 30% dei voti, ma non, come succede nel Regno Unito, sulla base di collegi uninominali e scelte personali, bensì con gli elettori bendati. Mentre chi le perde porterà in Parlamento solo i capolista, vale a dire che nessuno sarà scelto dai votanti.

Potrebbe sembrare una follia. Invece lo è.

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