Politica

Truppe cammellate

Gli eredi della sinistra ideologica sono fermi agli incubi del secolo scorso, tanto da evocare il Viet Nam quale dannazione per la grande potenza che ne uscì sconfitta, gli Usa. In realtà fu una dannazione per i vietnamiti, cui il governo comunista dei vincitori impose dittatura e fame. E non è il solo passato che non passa. Rottama oggi rottama domani, infatti, s’è aperta la via per il ritorno al centralismo democratico. L’idea di convocare l’assemblea dei gruppi, per poi vincolare ogni singolo parlamentare all’orientamento colà emerso, riavvicina il Partito democratico al modo in cui funzionava il Partito comunista italiano. La parte divertente è che tale riesumazione servirebbe a sconfiggere i più diretti eredi di quella non nobile tradizione. Non è affatto un caso che tale esigenza si senta nel corso della legislatura ove più massicce sono le transumanze trasformistiche. Né si può sostenere che la maggioranza renziana voglia ergersi ad argine contro quel cattivo costume, giacché senza il trasformismo e il cambio di casacca neanche esisterebbe. Messa in luce la contraddizione, ci sono tre questioni che suggerirebbero più realismo e meno spavalderia.

La prima è che al Senato la maggioranza si regge grazie a uno scarto minimo. In quell’Aula, per regolamento interno, il voto d’astensione è considerato voto contrario. Sarebbe davvero originale se i senatori del Pd fossero tutti costretti a votare in un solo modo, neanche potendosi astenere. Ne va non solo della libertà del parlamentare, ma anche della sua dignità personale. E sarebbe curioso che il governo si reggesse in piedi grazie al fatto che in altri gruppi non vale la medesima regola, sicché i dissidenti altrui sarebbero da osannare, mentre i propri da dannare.

La seconda è relativa al generale rapporto fra potere esecutivo e maggioranza parlamentare, che è dialettico e travagliato in tutte le democrazie realmente tali. La nostra Costituzione stabilisce che il mandato parlamentare è privo di vincoli. Giusto, ma aveva un senso diverso quando i parlamentari erano scelti dagli elettori, ora meno, visto che sono scelti dai partiti. Ma se, oltre a quel danno, s’aggiunge quello dell’obbligatorietà del voto, i gruppi parlamentari saranno declassati a truppe cammellate. Molti presero in giro (non a torto) il Berlusconi che vagheggiava si potesse votare come in un’assemblea societaria, con il capo gruppo depositario delle deleghe altrui, ma a quello si arriva, se si usa il centralismo democratico senza più un partito sottostante.

In tutti i parlamenti democratici, e molte volte nella storia della Repubblica italiana, si sono dovuti fare i conti con parlamentari indisponibili a seguire la disciplina di partito (da noi, per la verità, il più delle volte accadeva nel non segreto del voto segreto). Ma a parte casi clamorosi, che portano alle espulsioni, i conti si fanno al momento delle elezioni, non ricandidando i ribelli. Se si dimostrano i più in sintonia con l’elettorato, ciò porta alla sconfitta di quel partito. Chiamasi democrazia. Inoltre ricordo l’infinita geremiade di tante intelligenze e coscienze sprecate, che lamentavano il sequestro delle prerogative parlamentari al tempo dei vertici fra segretari di partito. Il fatto che dal plurale si sia passati al singolare non mi pare comporti un vantaggio.

La terza questione attiene alla riforma costituzionale: un’Aula la vogliono nominata dal più fallimentare dei libelli istituzionali, le Regioni, e l’altra affidata alla disciplina di gruppo. Non punge loro vaghezza che potrebbe esser troppo? Può darsi ne esca avvantaggiata la stabilità, il che suona stonato a cura di un governo nato dalla destabilizzazione del precedente, ma la continuità governativa è bene sia assicurata dal rafforzamento costituzionale di quel potere, non dal depotenziamento di quello legislativo e di controllo. Due poteri smidollati non ne fanno uno sano. Anzi: ne agevolano un terzo, che s’alloca altrove.

Colgo un fremito di disperazione, inoltre, nello sperare che il governo duri giacché, altrimenti, l’Italia sarebbe consegnata a Grillo e Salvini. Intanto perché i due non sono alleati, ma avversari. Poi perché a decidere sono gli elettori. Infine perché è a dir poco desolante supporre che si possa continuare a governare solo perché non altri potrebbero farlo. Da una parte occorre davvero scarsa considerazione di sé, per pensarlo, dall’altra vorrei far osservare che la grande occasione del 2015, della combinazione fra l’operato della Bce e il basso prezzo del petrolio, sta scorrendo via senza altro frutto che non il supporre che sarebbe potuta andare peggio. Il che, nuovamente, presuppone una visione funesta di sé e dell’Italia.

Pubblicato da Libero

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