Per carità, i bilanci di fine anno sono come gli oroscopi, destinati ad essere presto dimenticati, meglio non farne, quindi. Ma il 2002 lascia alcuni insegnamenti interessanti, dei quali è bene far tesoro.
L’intero anno è stato governato da un esecutivo forte di una vasta maggioranza parlamentare, di un recente successo elettorale, di una fisiologica dialettica interna, che ne conferma e non smentisce la solidità. Sull’operato di questo governo si possono avere opinioni diverse, ma è sicuro che l’anno si chiude senza che siano giunte in porto riforme importanti ed urgenti: dal tema delle pensioni e della previdenza a quello della scuola, dal problema della giustizia al mercato del lavoro, dalla sanità alla ricerca scientifica. La macchina legislativa, pur in assemblee con maggioranze solide, appare inceppata allorquando non si tratti di provvedimenti settoriali o particolari.
Le cose stanno così non per cattiva volontà di questo o di quello, ma perché l’intera architettura istituzionale è oramai afflitta dalla convivenza di modelli diversi. Ci sono interi capitoli concepiti secondo una logica proporzionale (si veda la nomina dei giudici costituzionali, protrattasi in modo indecoroso, o la stessa designazione del consiglio d’amministrazione della Rai) che non possono essere letti con gli occhiali del sistema maggioritario. La contraddizione è stridente e porta a forzature, od al blocco dell’attività. Così come, del resto, vi è una struttura statuale che comprende determinati tipi e funzioni di autonomia locale, ma che provoca infiniti problemi quando il decentramento amministrativo e legislativo non viene condotto di pari passo con le riforme istituzionali (si veda il tema della fiscalità, così come quello sanitario).
Il passaggio dal vecchio al nuovo, ammesso che si sappia ove si vuole arrivare, non può essere condotto secondo le regole dello spogliarello: tolgo un pezzo di qua ed uno di là, perché l’effetto è decisamente meno attraente del modello originale.
Una conseguenza, pericolosa, molto pericolosa, di questo stato di cose è che la Presidenza della Repubblica, proprio per i doveri conservativi che le derivano dalla Costituzione, finisce con il trovarsi di traverso rispetto ad alcune direzioni di marcia della maggioranza parlamentare, liberamente e democraticamente formatasi con il voto popolare. Solo chi non ha cultura e sensibilità istituzionale può non comprendere il pericolo che questo cela.
Un secondo insegnamento ci viene consegnato sul terreno della politica estera. Nel corso di quest’anno la Nato è stata allargata fino a comprendervi la Russia; allo stesso tempo, però, gli Stati Uniti hanno preferito condurre la guerra al terrorismo fuori dall’alveo Nato, rivolgendosi ad alleanze mutevoli. Nel corso di quest’anno si è prepotentemente posto il tema dell’allargamento dell’Unione Europea, sia verso est che verso la Turchia, nel mentre la stessa Unione ha mostrato la debolezza derivante dall’assenza di una politica estera condivisa. Ciò significa che lo scenario internazionale è mutato, e molti punti di riferimento si sono spostati.
E’ un tema che non può essere sbrigativamente liquidato, quel che qui importa sottolineare e che l’Europa dei padri fondatori, concepita secondo i canoni di una statualità federale, da una parte ha perso forza politica, dall’altra ci lascia comunque rigidità economiche che rischiano di impedire l’uso di strumenti anticiclici. Il che significa che rischiamo di uscire dalla crisi economica in ritardo rispetto agli Stati Uniti, senza per questo portare a casa il risultato di un’Unione più coesa politicamente ed istituzionalmente.
Considerato che l’europeismo e l’occidentalismo sono le due stelle che hanno orientato le forze democratiche italiane, ce n’è in abbondanza per concludere l’anno con l’impegno di dar meno per scontata la stabilità del firmamento.
Inutilità della commissione su tangentopoli
La commissione parlamentare d’inchiesta su tangentopoli sta diventando la palestra dell’ipocrisia e della pochezza politica. Nasce, se nasce, sotto i peggiori auspici. Alla fine, non servirà a niente.
L’opposizione alla commissione viene dall’opposizione al governo e si veste di una tesi che più ridicola non si potrebbe: non si possono fare commissioni parlamentari d’inchiesta mentre sono in corso dei processi sugli tessi fatti che si vorrebbero indagare, perché ciò toglierebbe prestigio ed autonomia alla magistratura. Ma che vanno dicendo? Si sono fatte decine di commissioni parlamentari su questioni che vedevano pendenti dei processi: dalle stragi alla P2, dai terremoti alla mafia. Dove erano, allora, i sostenitori di questa strampalata tesi? Come fa Violante a dir simili scempiaggini, dopo avere presieduto l’antimafia, dopo avere messo le mani su tonnellate di materia processualmente attiva, senza avere vergogna di se stesso?
Il povero Fassino cerca disperatamente di far valere il peso della politica sulle intestinalità girotondine, ma poi non ha la forza di difendere neanche l’ovvio. Dice, pure lui, che sarebbe grave indagare sul comportamento della magistratura. Ma, accidenti, gli italiani ricevettero gli auguri di buon anno da un presidente della Repubblica, così amato dalla sinistra, pur essendo un destro papalino, che disse, chiaro chiaro, che la carcerazione cautelare era utilizzata come strumento di tortura. Di tortura. E così, secondo la nostra sinistra allo sbando, un presidente della Repubblica può dire che in Italia si pratica la tortura, ma il Parlamento deve astenersi dall’approfondire l’argomento.
Il fatto è, però, che non si può, ed è comunque inutile, istituire una commissione d’inchiesta solo per far dispetto all’opposizione. A cosa dovrebbe servire, la commissione su tangentopoli? A sapere se vi sono stati eccessi nell’uso della custodia cautelare? È inutile, lo sappiamo già: si, ci sono stati, lo dicono le sentenze. Serve a sapere se l’operato dei magistrati ha avuto effetti politici? Lo sappiamo già: i partiti politici che vinsero le elezioni nel 1992 erano spariti alla fine dell’anno successivo: normalmente si chiama colpo di Stato. Serve a sapere se qualcuno fu protetto? Lo sappiamo già: tutti i partiti furono distrutti, salvo gli unici due che si erano posti fuori dall’occidente democratico: il partito comunista ed il movimento sociale. Serve a sapere quanto era diffuso il finanziamento illecito dei partiti? Lo sappiamo già: era totale. E queste cose non sono riservate e segrete, sono sotto gli occhi di quanti non usino lenti troppo colorate.
Allora che si dovrebbe sperare, da una commissione del genere? Sarebbe interessante un approfondimento serio sugli effetti di tangentopoli, ovvero sulla mappa del potere prima e dopo il colpo giudiziario. Si vorrebbe sapere dove sono finite le aziende possedute dalla Stato e cedute al mercato: quanto sono state pagate, quanto le ha poi valutate il mercato, a quanto sono state rivendute, in che mani si trovano oggi. Questo sarebbe interessante, e sarebbe esplosivo. Ma di questo non si parlerà (complice un’opposizione incapace e connivente), si perderà tempo a stabilire se il Tale doveva essere arrestato o meno, se esistevano o meno gli elementi per coinvolgere anche il Caio, si frugherà fra la spazzatura e si perderà di vista quel che conta.
Oggi, quindi, assistiamo alla travagliata e combattuta nascita dell’ennesima commissione inutile.