Politica

Un nuovo patto

Se il sindacalista è colui che difende gli interessi dei lavoratori, senza lasciarsi distrarre da interessi politici, il più efficace è stato un uomo della e nella proprietà: Sergio Marchionne. Demolendo i sacrari della concertazione nazionale ha imposto un nuovo schema di gioco. Conta la produttività, la sostenibilità di ciascun stabilimento, la convenienza dell’investimento e il guadagno dei lavoratori. Quando si fece il referendum, a Pomigliano d’Arco, scrivemmo che non sarebbe potuto restare un caso isolato, ora che è stato firmato il contratto sottolineo che ha valenza generale la premessa, non le specifiche condizioni: ciascun singolo accordo deve far guadagnare tutte le parti, altrimenti non regge. A Pomigliano, difatti, i lavoratori incasseranno più soldi. Il che già da solo, visti i tempi, è un risultato che merita a Marchionne il titolo di sindacalista honoris causa.
Quello realizzato è un nuovo patto per il lavoro, per ottenere il quale s’è messa sul tavolo anche la possibilità di chiudere baracca e burattini. Ripeto: non i singoli accordi, ma lo schema del nuovo patto deve estendersi al resto d’Italia. Si opporranno quanti puntano a conservare il passato per conservare sé stessi. Si oppone la Fiom, per tenere in scacco la Cgil e il Partito Democratico. E’ una partita politica che riguarda solo loro. I lavoratori sono già da un’altra parte (conoscendo la fabbrica nella realtà e non nella trasfigurazione ideologica di Maurizio Ladini). Il contratto di Pomigliano è figlio del referendum, dove i lavoratori hanno rappresentato se stessi. Già, perché dopo decenni di latitanza politica, questa vicenda impone anche il tema della rappresentanza sindacale e della protratta inadempienza costituzionale.
Quello che non si scorge, invece, è un nuovo patto di cittadinanza. A definire il primo sono più i contratti che le norme. A far mancare il secondo è un fisco capace solo di spremere il cittadino senza provare e riuscire a cambiare, strutturalmente, la spesa pubblica. La distanza che intercorre fra i nuovi contratti e il vecchio sistema fiscale segna la distanza fra l’Italia reale e quella istituzionale. Non a caso il governo è stato benedicente, ma con la politica sostanzialmente estranea.
In campo fiscale, dove s’incarna il patto di cittadinanza, non si vede nulla di simile. Dove la politica è indispensabile e non si può derogare, tutto si ferma. La pressione fiscale resta funzionale all’onere del debito pubblico e al finanziamento di una spesa pubblica che si è incapaci di modificare. Il governo che aveva promesso meno tasse non ha potuto mantenere la parola (per favore, non ditemi dell’Ici, né del federalismo fiscale, perché, alla scuola di Totò, è la somma che fa il totale e non la diversa destinazione degli addendi). C’è la crisi, certo, ma è anche il governo che vara l’esecutività degli accertamenti fiscali, la segnalazione delle spese superiori a tremila euro, il redditometro. Scusate, ma non sono quelle cose che chiamavano: stato di polizia fiscale? Il governo che puntava a far nascere le imprese in un solo giorno ora allunga di trenta i termini che consentono a una nuova partita Iva di fare operazioni con l’estero. Certo, tutte norme e accorgimenti che servono (?) per combattere l’evasione. Ma è la stessa cosa che sostiene la sinistra.
La verità è che dato il debito pubblico, se si dà per immodificabile anche la spesa pubblica non resta altro da fare che frugare nelle tasche indifese. E tutti, di destra o sinistra, girano attorno agli stessi sistemi. Con il vecchio patto di cittadinanza ci teniamo il vecchio fisco: sia con la presunzione che tutti siano evasori, sia con la conseguenza che molti evadono sul serio. L’alibi del vecchio fisco è sempre lo stesso: siamo cattivi perché combattiamo l’evasione. Invece sono cattivi perché non ci riescono, gettando il peso dell’incapacità sulla produttività, così svantaggiandola nel mercato europeo e globale.
I lavoratori di Pomigliano hanno capito la loro convenienza, così la capirebbero i cittadini: si deve scambiare meno tasse con meno spesa, che significa più libertà con meno protezioni. Ciò aiuterebbe i più deboli, perché i ricchi hanno già pensioni e sanità private. Se la politica rappresentasse i cittadini e non i dipendenti dalla spesa pubblica si otterrebbe lo stesso risultato che si è visto a Pomigliano, quando hanno parlato i lavoratori e non chi pretende di rappresentarli: si è cominciato a descrivere il nuovo patto.

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