Il clima di dialogo, forse d’unità, che promana dall’incontro di Palazzo Chigi, racconta di un’Italia impegnata a salvare la vita delle due volontarie rapite in Iraq. Chi può essere contrario? Nessuno. Ma l’ipocrisia è una brutta bestia, e le parole al vento diventano, in certi casi, un crimine politico. Quindi cerchiamo di dire un paio di verità. Scomode ed urticanti. La prima: non è vero che la salvezza di quelle due ragazze è una priorità assoluta.
Così come non lo era quella dei quattro rapiti (di cui uno ammazzato), non lo era quella di Baldoni, non lo è quella degli altri sequestrati, di nazionalità diversa dalla nostra. La priorità sono gli interessi e la sicurezza nazionali.
Per difendere quegli interessi e quella sicurezza è escluso che gli italiani possano ritirarsi dall’Iraq, ma, proprio per questo, è anche necessario che quest’impegno militare all’estero assuma contorni meno retorici e buonisti e sia chiarito al Paese in quale contesto politico, con quali finalità di controllo di quell’area, con quali speranze di contenimento e repressione del terrorismo internazionale le armi ed i militari italiani si trovano in quel lontano Paese. Il che significa anche sollecitare in tal senso la discussione politica con i principali alleati, a cominciare dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra.
La seconda cosa da dire è che non è assolutamente vero che il governo francese si trova a miglior partito, trattando la vita dei due giornalisti rapiti, grazie al precedente rifiuto di mandare truppe in Iraq. Anzi, è vero l’esatto contrario.
E’ naturale che esistano trattative riservate, ed è non meno naturale che possano circolare quattrini, di cui tutti negheranno l’esistenza, ma se a questa trattativa si accede con la benedizione di Hamas e senza che il governo in questione abbia un propria presenza militare che testimoni l’inequivocabile scelta di campo, ebbene, quel governo rischia la disfatta politica, l’umiliazione nazionale, il disvelamento di rapporti indecenti, senza neanche avere alcuna garanzia che i due francesi siano restituiti alle loro famiglie.
Le garanzie, ovviamente, non le abbiamo nemmeno noi, ma, almeno, l’affermazione con la quale il governo ribadisce la volontà di restare in Iraq rende possibile una trattativa che non distrugge il nostro ruolo internazionale.
Affrontare questi problemi con il cuore in mano, lasciarsi trasportare dai sentimenti e dall’umana pietà, non solo non serve, ma spesso è dannoso. Il compito di chi governa, più in generale il compito di una classe dirigente degna di questo nome, è quello di maneggiare il presente avendo in mente la storia che si va scrivendo, non la cronaca che si va bruciando. Questo non toglie nulla alla trepidazione per le due volontarie, all’orrore per quel che è stato fatto a Baldoni, alla rabbia per il nostro connazionale vigliaccamente ucciso, alla commozione per i militari fatti saltare in aria ed alla gioia per la liberazione di tre ostaggi.