Uniti si vince, divisi si perde. Talora le menti pensose sono folgorate dal lampo dell’ovvietà che, consapevoli della propria potenza, scambiano per genialità. Pur felici dell’intuizione risolutiva, non sfuggono alla vocazione passiva, talché rimangono nella trappola del tifo, che le porta a supporre che le divisioni nuocciano solo ai propri cari, immaginando i perfidi avversari capaci d’ogni magheggio, pur di vincere. Il tifo, Paolo Mieli e il suo cruccio per la sinistra divisa ne è una dimostrazione, non alberga solo nel chiasso della curva, possedendo gli animi anche nel trepidare della tribuna. Ma, comunque, resta l’ovvio: uniti si vince, divisi si perde. E se non fosse così?
A sinistra temono la sindrome greca, con divisioni che potrebbero toglierle il diritto storico e morale alle vittorie elettorali. E’ successo tante di quelle volte che temerlo è il minimo possano fare. Ma a destra si trova l’uguale. Sia per il passato (il centro destra ha perso le scorse elezioni per un capello, nel mentre la composta chioma di Mario Monti, che annettere alla sinistra è come schierarlo fra i modesti, raccoglieva voti in quantità pari solo alla loro inutilità), sia per il futuro. Tanto che taluni spingono l’accordo, ridenominato “ticket”, fra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Non vorrei essere inopportuno, ma rammento che tale solido principio è la tragedia della seconda Repubblica. Invenzione berlusconiana del 1994, immediatamente copiata a sinistra, dal 1996. Risultato: coalizioni vincenti e incapaci di governare. Perché dopo avere preso il premio della vittoria provvedevano a placcarsi e dividersi. Che sia la ricetta per il futuro la dice lunga su quanto, agli stolti, sia inutile il passato.
Propongo qualche altra ovvietà. 1. Le divisioni elettorali nuocciono in tutto il mondo, tanto che anche negli Usa due candidati di destra portano all’elezione del presidente di sinistra, e viceversa. Ma le alleanze accroccate per vincere funzionano solo per imbrogliare gli elettori. 2. Solitamente capita che si unisce l’area politica nella quale è nato un leader e si trova qualche idea forte. Mentre le aree che si spappolano son colme di capetti burletta e vuote d’idee. 3. Da noi si adottò il premio di maggioranza, modello nel quale s’insiste. Veleno allo stato puro, perché non è un sistema maggioritario, ma un’istigazione ai matrimoni di convenienza. Se dai il premio alla coalizione ottieni il risultato già noto. Se lo dai al partito ne produci di falsi. Si potrebbe anche smettere. 4. Funzionano i sistemi istituzionali che consegnano poteri reali a chi è eletto, non quelli che incitano al travestitismo orgiastico. 5. Le primarie all’italiana non sono un rimedio, ma un male a loro volta, perché prive di norme e nate con il marchio del raggiro. 6. Posto che i partiti sono associazioni private, propongo che quanti decideranno di allearsi lo facciano con un contratto pubblico. Non con gli italiani, che sono parte non contraente, ma fra di loro. Della serie: siamo diversi, altrimenti saremmo un partito solo, ma ci impegniamo a restare uniti sulle seguenti questioni, con annessa indicazione di cosa intendono fare.
Non si potrà fare loro causa, ma, almeno sarà noto chi fu pagliaccio e divenne traditore. Meglio se in uno dei punti potrà trovarsi una descrizione meno approssimativa e arrogante di come intendono cambiare le istituzioni in modo da consentire a chi vince di governare. Senza prima costringerlo, per vincere, a perdere l’anima e innescare il trasformismo.
Pubblicato da Libero