Politica

Vacanza mentale

Vacanza mentale

Non solo per il regionalismo differenziato si è scelto di allungare la palla puntando al fischio dell’arbitro, è capitato anche con il salario minimo. In questi e altri casi però, non c’è nessuna buona ragione per mandare il cervello in vacanza. La pausa dei lavori parlamentari dovrebbe servire, semmai, per ragionare su principi e finalità.

Il salario minimo, ad esempio, non è il rimedio al lavoro mal pagato. Chi lo sostiene sta solo facendo propaganda. Si prenda l’esempio della Germania e si ricordino le reazioni italiane: all’inizio del millennio i tedeschi introdussero nel loro ordinamento del lavoro i mini-job, ovvero occupazioni parziali con un salario minimo basso; da noi si strillò al sopruso e allo sfruttamento, mentre a qualcuno di noi capitava di sostenere che fosse una buona idea; passano gli anni e ora i tedeschi alzano considerevolmente il salario minimo, oltre la soglia di cui si discute in Italia; e da noi gli stessi che erano contro l’innovazione ora indicano l’esempio dell’innalzamento. Sfugge loro che i piccoli lavori con bassi salari avevano la finalità di chiamare al lavoro due eserciti tradizionalmente assenti, le donne e i giovani, senza stravolgere le loro vite ma chiamandoli alla produzione e offrendo un’opportunità, essendo quella la finalità e avendo avuto successo ecco che la conseguenza sono salari più alti. Se prendi ad esempio i salari e cancelli il resto ti capita quello che raccontava Esopo in una favola: gli animali piccoli osservarono quanto mangiavano quelli grandi e si proposero di diventare come loro mangiando quanto loro, così morendo.

Ad oggi, pur essendo l’occupazione in crescita (evviva, ma non sempre più occupati sono anche più ore lavorate), la partecipazione al lavoro, in Italia, è ferma nell’intorno del 65%, mentre in Germania è 12 punti più alta. Il nostro problema è farla crescere, non trovare il modo per mandarne fuori mercato alcuni pezzi.

L’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) ha reso pubblici dati relativi a come in Italia si trova lavoro. Perché si trova, ma gli strumenti che si usano dicono molto. La maggioranza, pari al 23.3%, lo ha trovato grazie a segnalazione di amici e parenti; il 18.2 ha intravisto una possibilità e si è autocandidato; nel complesso questi canali informali, amicali, fatti di sentito dire e visto, procurano il lavoro nel 56% dei casi. Il 37% dei posti di lavoro viene occupato grazie a canali istituzionali e formali, ma in quello pesa un 10% che ha partecipato a concorsi pubblici (quindi, ancora una volta, che si è mosso di propria iniziativa). I Centri per l’impiego, che sono pubblici, hanno nel carniere uno striminzito 4.2% dei contratti attivati, riuscendo a funzionare meno delle private Agenzie per il lavoro, che arrivano al 6.4%. Non solo, quindi, i preposti a cercare lavoro per altri non funzionano, ma se si disaggregano i dati si coglie l’orrore: a. in alcune regioni (come ha denunciato anche il ministro Giorgetti) i Centri per l’impiego sono a encefalogramma piatto; b. le Agenzie funzionano dove il mercato del lavoro (quindi quello della produzione) è più dinamico; c. l’arretratezza resta a marinare nell’arretratezza.

Ora osservate l’assurdo: mentre il governo di destra vara i più consistenti decreti relativi all’ingresso di immigrati, quindi i lavoratori (anche qualificati) si cercano all’estero, da noi i Centri sono regionalizzati e manca una banca dati nazionale dei posti liberi e delle persone che li cercano. Fortuna che amici e parenti sono più svegli.

Quella roba va smontata, non finanziata. Nell’era del digitale servono meno persone e più dati. E serve spingere i distretti produttivi a formare i collaboratori di cui hanno bisogno, semmai agevolando fiscalmente le assunzioni dopo la formazione, piuttosto che dare soldi a chi frequenta (se li frequenta) corsi che non formano.

Per quale mai ragione non se ne può discutere anche durante l’estate, anche a Ferragosto? Mandino in vacanza le demagogie, che mandarci la testa crea un precedente.

Davide Giacalone, La Ragione 5 agosto 2023

www.laragione.eu

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