Politica

Velo al volo

Hanno ragione le hostess francesi che, dovendo sbarcare all’aeroporto di Teheran, rifiutano d’indossare il velo. Vanno difese. E per farlo è necessario capire la natura del problema e la posta in gioco, che non è l’uggiosa discussione a favore o contro il vestirsi da Belfagor.

Nel nostro mondo il velo puoi metterlo o no. Non esiste e non deve esistere discriminazione né per chi lo porta né per chi non ci pensa nemmeno. Di tanto in tanto si leggono articoli su questa o quella casa di moda occidentale, scandalizzati o impauriti per avere visto comparire il velo su qualche passerella: ci stanno conquistando e sottomettendo. Non accadrà mai. Chi lo teme non ha piena consapevolezza di quanto sia superiore la libertà e la laicità sulla costrizione e la superstizione. In alcune zone del mondo prevalgono, lo vedo bene, ma non accadrà qui da noi. Se qualche stilista strizza l’occhio alle stoffe coprenti sarà il caso di osservare che il contesto della sfilata è tutt’altro che bigotto. Che faccia i suoi affari. Nelle capitali europee ci sono strade del lusso che si sono specializzate nel vendere abiti griffati e maliziosi a donne che poi escono coperte di nero fino ai piedi. Non è compito del commercio porsi problemi di psicoanalisi.

Nel nostro mondo, però, se qualcuno intende imporre a una donna il velo può essere punito. Così come per ogni violazione o limitazione della libertà di altri. Ferme restando le esigenze di riconoscibilità, innanzi a pubblici ufficiali, ciascuno è libero di addobbarsi come crede e la legge non si occupa di gusto.

Al tempo stesso, quando vado nel loro mondo, mi adeguo a costumi locali (in Texas il gesto delle corna porta fortuna, in Sicilia offesa grave è). Ad esempio non chiedo di bere uno scotch al bar (qualche volta te lo offrono loro, cosa che vivo come giulivo segnale che i mondi hanno somiglianze). Ma si tratta di limitazioni che, almeno teoricamente e ufficialmente, valgono per tutti. Per le hostess no, invece, perché sono lavoratrici che si trovano a essere discriminate rispetto ai loro colleghi maschi. E questo non possiamo consentirlo. Ho rispetto delle culture e dei costumi diversi dai miei, ma chiedo rispetto per i miei. Su quel punto non si deve cedere o concedere, perché non si tratta dell’estetica sul loro territorio, ma della sostanza in quello globale. Se l’assistente di volo intende fermarsi un paio di giorni, per sua libera scelta, si adeguerà al dress code locale, come facciamo un po’ tutti. E se non intendo farlo, non vado o non mi fermo. Ma se scendo dall’aereo, dove mi trovavo per lavoro, indosso la divisa della compagnia, valida in tutto il mondo. Se a Teheran non si può scendere è segno che si considerano fuori dal mondo. Non vedo perché essere complici di una tale perversione.

Pubblicato da Libero

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