Dobbiamo andare avanti e continuare a governare, ha detto ieri Silvio Berlusconi. Possiamo aggiornare il patto di legislatura che lega le forze del centro destra, ha aggiunto, con questo aprendo uno spazio rilevante per Gianfranco Fini e quanti lo hanno seguito nella rottura. Lo scambio sarebbe questo: stabilità e saldezza del governo in cambio del riconoscimento di una terza componente, sconosciuta agli elettori che hanno insediato l’attuale maggioranza. E’ già stato rifiutato. Ma il concetto chiave del discorso di Berlusconi è un altro: l’alternativa è una sola, le elezioni.
Dalle stanze del governo si tende a negare le difficoltà e a riproporre un bilancio totalmente positivo. E’ comprensibile, sebbene non del tutto ragionevole. Ma non deve sfuggire il passaggio che ha appestato l’aria che respiriamo, che ha provocato guasti profondi e dischiuso prospettive pericolose: l’avere messo nel conto, quando non proposto, la nascita di un governo istituzionale. Di “transizione”, s’è detto. In realtà si tratterebbe di un esecutivo di disperazione e moltiplicazione dei guasti. Basterebbe togliere di mezzo tale ipotesi, come Sergio Romano (sul Corriere della Sera) e Luigi La Spina (su La Stampa) hanno correttamente fatto, sarebbe sufficiente fissare il principio per cui se il governo in carica riesce ad andare avanti bene, altrimenti la parola torna agli elettori e già si potrebbero far funzionare meglio i polmoni.
Nel 2008 gli elettori hanno, liberamente e consapevolmente, dato la maggioranza al centro destra e incaricato Berlusconi di guidare il governo. Non hanno potuto farlo in modo schietto e lineare, perché la nostra Costituzione non è cambiata e non si elegge il premier, ma Berlusconi non è l’unico ad avere messo il proprio nome sulla scheda, lo hanno fatto e lo rifaranno tutti (pessima idea), sicché il risultato è politicamente chiarissimo. A maggior conforto, due consultazioni successive hanno riconfermato quell’orientamento. La forza elettorale non cancella i problemi del governo, semmai rende più grave la responsabilità per quel che non funziona. Ma se si dovesse giungere al blocco uno solo sarebbe lo sbocco legittimo: il voto. Da quella parte entrerà l’aria fresca della democrazia, portando davanti agli elettori bilanci e promesse.
Asfissiamo, invece, perché sembra che questa sia la soluzione più contorta e lontana, con un susseguirsi d’appelli dissennati che mirano a scongiurarla come la peggiore prospettiva possibile. Non c’è dubbio che sarebbe un guaio, ma minore di un tira e molla limaccioso e interminabile. Soffochiamo perché c’è tanta gente che ritiene di trovare nelle urne la propria ennesima sconfitta ed è disposta, per evitarlo, a far alleanze innaturali, magari approfittando dei voti di quei senatori eletti dal centro destra e disposti a tutto pur di non perdere la sistemazione. Si producono gas venefici perché si continua a sperare di battere Berlusconi senza passare per le urne. Disegno folle e distruttivo.
Vorrei sapere cosa passa per la testa dei Massimo D’Alema o degli Enrico Letta, che ogni giorno chiedono governi privi di consenso popolare. Li vedo anch’io i problemi di quello in carica, e lo so anch’io quel che c’è scritto nella Costituzione, ma voi credete sul serio che si possa fare un governo che metta Marchionne all’industria ed Epifani al lavoro? Pensate che con questa roba si possa rispondere alle richieste europee, imponendo il rigore e, al tempo stesso, riformare il sistema elettorale? Se pensate qualche cosa di lontanamente simile siete degli incoscienti, capaci di mettere a rischio il tessuto democratico pur di non fare i conti con i vostri fallimenti.
La puzza nell’aria la sentiamo tutti, lo spettacolo è avvilente per (quasi) tutti, ma ragionare di governi tecnici è il modo furbetto per sperare che venga da fuori, da altri, la forza che l’opposizione non è stata capace di darsi. Se andiamo avanti così avremo una decina di candidati premier (senza che ne esista l’elezione): uno di destra, uno di sinistra e otto di presunto centro antibipolare e alternativo. Uno scenario ridicolo, che denuncia l’assenza di politica e agevola il più dotato di personalità: Berlusconi. Farebbero bene ad occuparsene, anziché attendere che siano altri a salvarli da se stessi.
Se le elezioni fossero l’unica alternativa al reggersi in piedi del governo, si chiarirebbero molte cose anche nella destra. La prospettiva non entusiasma Berlusconi: troppo bravo nel cogliere gli umori del Paese per non sentirne i disagi, avvertire il logoramento, sapere che non basteranno certo gli elenchi (lunghi e non decisivi) delle “cose fatte”. Egli si considera solo, circondato dal vuoto mentale e caratteriale, da molti pronti a tradire. Coglie nel segno, benché quel vuoto se lo sia meticolosamente assicurato, in anni di selezione alla rovescia. Anche lui, insomma, scantonerebbe le urne, continuando a giocare una partita appresso all’altra, fronteggiando uno scandalo o un’inchiesta appresso all’altra, forte della confusione nel campo avverso e della temerarietà del supposto governo tecnico. Cancellarlo dallo scenario, quindi, significa anche togliere un alibi a chi oggi governa.
L’aria è appestata. Il nostro dramma è che molti, dal più basso al più alto livello istituzionale, la fiutano con gioia e la inalano con voluttà, finendo con l’emanarla e diffonderla.