Politica

Violante, la mafia, la memoria

Significativamente selettiva e prudentemente tempestiva, la memoria di Luciano Violante. I suoi lampi improvvisi illuminano un sentiero che, fin qui, abbiamo battuto in modo solitario. E’ dal giorno in cui un animale assassino parlò del “papello”, che in siculo sta per insieme di fogli, che ci s’interroga sull’ipotesi

che sia realmente esistita una trattativa, o, almeno, un canale di contatto fra la mafia e lo Stato, e siccome è evidente che non potevano affidare l’eventuale dialogo a dei macellai semianalfabeti, si trattava di stabilire se si erano mosse le propaggini politiche della mafia. Una di queste ha nome e cognome: Vito Ciancimino, ex sindaco democristiano di Palermo. Sono anni che si fanno ipotesi, e ne ho scritto in modo piuttosto difforme dalla vulgata corrente, segnalando la coincidenza fra il governo della commissione parlamentare antimafia e certe scelte della politica e della magistratura. In tutti questi anni, sul punto, Violante ha taciuto. Ora ha sentito l’improvviso bisogno di farsi sentire dai magistrati di Palermo e di far sapere che, per il tramite del generale Mori, Ciancimino gli aveva chiesto un incontro. Perché parla solo ora?
Risposta: perché adesso il figlio di Ciancimino, interessato alla difesa dei soldi mal accumulati, ha deciso di rendere pubbliche alcune carte, che il vecchio Vito, conoscendo i suoi polli, aveva provveduto ad accumulare. In vista di questo diverso e riemerso papello, a Violante è tornata la memoria.
Noi non sapevamo di questo invito, naturalmente, ma la traccia di quel dialogo l’abbiamo già descritta. Facciamo un passo in vanti, sapendo di muoverci su un terreno infido. Il lettore mi scusi, ma anche oggi devo fare una premessa: non credo ai complotti ed agli strateghi occulti. Osservo che quando servono a far credere che il potere politico della prima Repubblica sia stato consustanziale alla mafia, questi schemi godono di un certo successo, mentre quando li si usa per descrivere quel che avvenne nella commissione presieduta da Violante e nell’Italia del 1992-1994, sono bollati come ridicoli e paranoici. Non ci credo mai, ma aggiungo: non ci fu nessuna comune regia, ma due filoni, quello del manipulitismo milanese e quello dell’antimafia violantesca, furono convergenti nel distruggere un mondo politico che raccoglieva la maggioranza dei voti. La maggioranza di governo, invitta nelle urne, fu cancellata per via giudiziaria. Non si capisce nulla, se non lo si ricorda.
Violante, dunque, sapeva che Ciancimino, a nome della mafia o dei corleonesi, cercava un dialogo. Oltre a tenerlo per sé, oltre a ritenerlo solo ora utile per le indagini, Violante s’è chiesto il perché? Pensava volesse contribuire alla scrittura di un libro di storia? S’è chiesto se, per caso, c’entrasse qualche cosa il fatto che lui, Violante, assieme alla corrente di sinistra della magistratura, si era battuto contro Giovanni Falcone? Sappiamo che la mafia cerca sempre un contatto con il potere, per stabilire i termini della convivenza o misurare la durezza della guerra. Il potere è sempre penetrabile, e la mafia meno monolitica di quel che si crede. Lo avrà capito anche Violante, visto che, sul tema, sdottoreggia da molti anni. Violante era una delle facce del potere vincente, in grado di controllare, o far credere di potere controllare, la magistratura, anche per il tramite di quella Elena Paciotti che mise il suo voto al Csm al servizio di chi voleva bloccare Falcone e Borsellino, per poi incassare un seggio da parlamentare della sinistra (che pessimo esempio!). Era il volto di un potere che poteva permettersi di processare per mafia un ex presidente del consiglio, accettando che s’intimorisse un carabiniere (il maresciallo Lombardo) e lo si spedisse alla morte, pur d’impedirgli di portare in aula un testimone scomodo per l’accusa. Era, quindi, un interlocutore interessante, per la mafia. Che si sia prestato o meno non lo so, e non è politicamente rilevante. Saperlo attiene alla valutazione penale, che noi vorremmo lasciare ai tribunali, se esistessero. Quel che conta è che la mafia cercò il contato con i vincenti, e che il loro più scaltro esponente ha atteso tre lustri, per farsi tornare la memoria.
Successe, in quegli anni di stragi e giustizialismo, un imprevisto: a vincere le elezioni fu Berlusconi. Vedo che, ora, si prova ad inquinare la memoria, facendo dire ad un quaquaraquà che i mafiosi avevano l’ordine di votare Forza Italia. Ridicoli. Quanti credete che siano? E quando tutta Palermo votava lo stesso sindaco, la mafia aveva per caso dato ordine di votare Leoluca Orlando Cascio? Anch’egli nemico di Falcone e diffamatore di Lombardo, oggi degno alleato di Di Pietro. Sono certo che Violante vorrà sconsigliare qualche sciocco zelante d’insistere su questa strada, perché nei giorni in cui Falcone e Borsellino venivano isolati, resi impotenti ed ammazzati, il mondo di Forza Italia contava zero. Contava Violante. Tanta storia deve essere ancora scritta, e, forse, oggi sono più numerosi quelli in grado di capirla. Almeno lo spero.

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