Politica

Vizio necessario

Perché un Paese malato di consociativismo dovrebbe aver bisogno di un accordo consociativo per curarsi? Perché si punta a una grande coalizione, che in passato ha prodotto aumento della spesa pubblica e controriformismo, per riuscire a mettere le casse sotto controllo e fare le riforme necessarie? Perché l’assenza di un pubblico ragionare e l’inconsistenza culturale del dibattito politico portano a confondere cause con effetti. Le democrazie funzionano bene quando gli uni governano e gli altri fanno l’opposizione, salvo spettare agli elettori stabilire è opportuno il cambio della guardia. Ma cosa succede se questo meccanismo non ingrana? E perché da noi non ci riesce?

Come capita a molti morfinomani, l’Italia è affetta da consociativismo come conseguenza di una più profonda malattia: la frammentazione faziosa, l’ostilità verso lo Stato, il guicciardinismo particularistico. A queste caratteristiche genetiche ha sommato il mentire sulla propria storia, sul risorgimento, sull’unità, sul fascismo, sulla liberazione, sul terrorismo, sulla corruzione. Mentitori per potere raccontare a sé stessi una storia diversa da quella reale, che, come sempre, è fatta d’ideali tanto quanto d’interessi, di altezze e bassezze. Come fai a tenere assieme un Paese come questo, per giunta all’indomani di una guerra civile risolta grazie all’intervento di eserciti stranieri? Come fai a governarlo, posto che la guerra fredda ti ha imposto il partito comunista più forte e ricco d’occidente? Ecco la risposta: usi il collante della spesa pubblica e il mestolo del consociativismo. La morfina lenisce i dolori della malattia, fin quando ci si accorge che se ne è dipendenti, divenendo quella stessa un problema.

Silvio Berlusconi si presentò come il rivoluzionario estirpatore della malattia consociativa: basta con gli accordi a ogni costo e si prenda la maggioranza anche grazie a paleofascisti e protosecessionisti. Gli italiani gli andarono dietro, plaudirono la trovata, lasciando a bocca aperta e a chiappe strette i professionisti del consociativismo. Solo che poi il consociativismo espulso dal rapporto con i comunisti (nel frattempo trasformatisi in ridanciani dementi che irridevano quanti ancora credevano esistessero i comunisti, ovvero loro stessi) s’instaurò all’interno delle maggioranze. Il governo di destra cercava l’accordo con imprenditori e sindacati, così come con pubblici e privati, il che poteva riuscire solo usando i soliti ingredienti: spesa pubblica e consociativismo. Il berlusconismo inventato a destra attecchì subito a sinistra, riproducendo i medesimi fenomeni: coalizioni disomogenee, tenute assieme in modo consociativo e con la spesa pubblica. Il che faceva crescere la pressione fiscale.

Il dato nuovo è stato capito in ritardo: l’euro chiude i rubinetti di quel tipo di spesa pubblica. La colla scarseggia e i cocci si dividono. Vale in politica, il che può anche non preoccupare. Fra poco il Pd si sgretolerà, mentre il centro destra ha già buttato via la vittoria del 2008. Ma, tutto sommato, chi se ne frega. Il fatto è che si smonta la società. S’allentano i legami sociali. Si scuce il tessuto produttivo. E’ questo che deve far paura e non consente di perdere tempo: più tardi si arriva e peggiore sarà il dramma. E allora? Allora abbiamo bisogno di un’uscita consociativa dal consociativismo.

Attenzione, però. C’è un consociativismo virtuoso, noto in tutte le sane democrazie, che nell’Italia di oggi consiste nel condividere la responsabilità di forti riforme istituzionali e ampie aperture del mercato (nulla a che vedere con l’accozzaglia di banalità messe assieme nei due saggi scritti dai dieci saggi). E c’è un consociativismo vizioso, che recita: mettiamoci assieme, contiamo di più e spieghiamo all’Unione europea che dobbiamo riprendere a usare la spesa pubblica come collante. La prima via genera paura, ma produce ricchezza. La seconda infonde sicurezza e moltiplica la povertà. Questo è il discrimine politico fra innovatori e regressori. Con il timore che sul secondo fronte s’attestino in troppi. Ortotteri compresi, interpreti superbi del moralismo reazionario.

Pubblicato da Libero

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