La sinistra sembra avere un’irrefrenabile vocazione al martirio. Prima si è berlusconizzata, imitando, con l’Ulivo e con Romano Prodi, la formula politica dell’avversario, coalizzando tutto l’eterogeneo coalizzabile pur di prendere un voto in più, adesso, sconfitta sonoramente, cerca di leghizzarsi, vaneggiando di “nord” e di ripartire “dal territorio”, che sono parole così prive di contenuto da mettere in evidenza, da sé sole, quale sia il vero problema: mancano le idee.
Si sono spaventati, e c’è da capirli, per la penetrazione leghista nelle regioni rosse. Provino, però, a chiedersi il perché. Fra non molto si voterà al comune di Bologna, roccaforte tradizionale, già una volta caduta, dove la riconquista della sinistra è avvenuta con un sindaco ex sindacalista, che la città non ha mai sentito come proprio, peraltro ricambiata, cui è succeduto un altro loro uomo, che ha intessuto frequenti relazioni internazionali con i Paesi dell’est, forse per meglio comprendere a quale pericolo siamo sfuggiti, restandosi da appurare se questo è anche avvenuto a irregolare carico della municipalità. Trovano tanto stupefacente che i cittadini non gradiscano? E provino a pensare a quel che è già avvenuto in Piemonte e che potrebbe avvenire a Torino, dove il loro sindaco s’affanna a chiarire che se non gli danno il federalismo partitico lui fonda un partito del nord. Si chiedano, in questo caso, se agli elettori risulta più gradita e convincente la versione originale, leghista, o l’imitazione posticcia, di Sergio Chiamparino.
Uno dei problemi grossi, di questa sinistra, è che si sentono tanto superiori e intellettualmente dotati, ma non leggono. L’unico confronto che li interssa è quello interno alle loro correnti, che li massacra, ma, da molto tempo, hanno smesso di ascoltare le voci libere e critiche, accontentandosi di credere che tutti quelli non allineati con le loro trovate sono, automaticamente, da iscriversi nella lista dei servi e dei prezzolati. Peccato, per loro, altrimenti si sarebbero accorti che le cose che oggi scrive Goffredo Bettini, con l’aria di dirle pensate e coraggiose, noi le pubblichiamo da anni: la sinistra affonda perché militanti ed elettori non sanno più cosa diavolo pensa dei problemi collettivi. Fra i quali non rientra né la scelta di un nuovo nome, né la scelta di un nuovo segretario, da tritare in fretta.
Non solo hanno fallito le prove di governo, ma continuano a prendersi in giro con slogan ai quali sono gli unici a credere. Esempio: avremo commesso degli errori, ma abbiamo portato l’Italia nell’euro. E’ vero, hanno commesso degli errori, compreso quello di essersi opposti con forza all’euro, cui votarono contro, in Parlamento. E questo è niente, perché per tentare di ciucciare la ruota del consenso che si muoveva verso la Lega approvarono, nel 2001, una dissennata riforma costituzionale, che ha scassato lo Stato unitario senza per questo portare alcuna miglioria amministrativa, in sede regionale. Io sono fra quanti considerano un gravissimo errore l’essere stati comunisti, e non credo affatto che si debba scordare quell’indecente passato, ma gli errori di questa sinistra sono numerosi e considerevoli anche a prescindere dall’essersi schierata con i regimi della fame e della morte. Non vanno da nessuna parte, se non ripartono dall’ammetterli e correggerli.
L’Italia ha bisogno di una sinistra democratica e di governo, che si batta per la giustizia e l’equità. E’ una sinistra che non c’è, però, perché al suo posto si trova un’accolita di reduci e sconfitti, che pur di non ammettere d’essere quel che sono, attaccano con rabbia il riformismo e tentano di travestirsi con i colori e i gusti dell’avversario. Per ripartire hanno bisogno d’idee, ma anche di uomini nuovi. Le idee sono quelle del riformismo europeo, che non è più neanche socialista, da anni. Gli uomini cerchino di trovarli fra quanti non hanno sempre campato di politica, che almeno per una parentesi di vita abbiano lavorato e conoscano la realtà. Perché, non lo dimentichino, il lusso non guadagnato, nel quale vivono, risulta leggermente fastidioso.