Politica

Voto nel vuoto

Nel volgere di un solo giorno le urne a novembre sono diventate un piacere a Silvio Berlusconi, altrimenti preoccupato d’incassare prima qualche condanna. Ciò dimostra la solidità di ragionamento e la raffinatezza d’analisi di un mondo che non riesce a regolarsi, se non usando Berlusconi come stella fissa. Sia per andargli incontro che per fuggirlo. Fino a poche ore prima si pensava il contrario: la sinistra sosteneva di non affrettare le urne solo per senso di responsabilità, dato che avrebbe gradito votare domani mattina, sicura della vittoria, mentre dal Colle più alto non si faceva che ripetere la necessità di varare subito (la volevano prima dell’estate) la riforma del sistema elettorale, appresso alla quale, naturalmente, si sarebbe votato immediatamente. In quanto ai processi di Berlusconi, che io sappia, durano dal 1994, sicché appare ardito considerarne uno (e poi quale!) al pari di una folgorante novità.

A essere seri, quindi, si dovrebbe leggere la faccenda sotto una ben diversa luce. Intanto chiedendosi: perché tutti escludono che si arrivi alla scadenza naturale, nei mesi di aprile o maggio? La crisi e il precipitare degli eventi non c’entrano un bel nulla, quello che conta è una cosa diversa: se si votasse a scadenza naturale il primo adempimento del nuovo Parlamento sarebbe l’elezione dei due presidenti, di Camera e Senato, mentre il secondo consisterebbe nell’elezione del presidente della Repubblica, solo dopo si passerebbe alla formazione del nuovo governo. Vuoi che si ritenga impraticabile l’ingorgo istituzionale, immaginando che si perderebbe troppo tempo, vuoi, e mi sembra assai più convincente, che si voglia mettere nelle mani di Giorgio Napolitano la gestione di quella fase, varando il governo prima di lasciare il Quirinale, comunque è necessario votare in anticipo. Al massimo entro marzo. E scommetto che così andranno le cose.

Secondo quesito: il tempo che va da novembre a marzo è indifferente? Dal punto di vista appena esaminato sì, per il resto no. Mario Monti da tempo scalpita, ben sapendo che il suo ruolo commissariare non può essere stiracchiato più di tanto. Oramai non si contano i decreti annuncio, i propulsori di sviluppo che alimentano solo la proliferazione giornalistica, mentre l’infausta trovata delle bevande gasate (non si aiutano i bambini a non diventare obesi, si tassano quelli grassi) è divenuta esemplificazione di un capolinea oramai alle spalle. E non credo la colpa sia di Monti, ma di un mondo politico che non ha saputo lavorare, fin dall’inizio, per rendere breve quella parentesi. S’è, invece, lasciato menare da presunti sapientoni che fanno i realisti, i quali fantasticano di formule modello Monti-forever, incuranti del fatto che il governo già viene giù da solo.

E non basta, perché rompendo con l’Udc e abbracciando Sel lo stesso Pd ha chiuso all’ipotesi di continuare ad appoggiare un governo nel quale non si riconosce (il che è legittimo) minimamente. Solo che, in questo modo, cade in una trappola storica, che riassumo in una formula: Pd+Sel-Udc-Idv=Pci. Dove non sarò certo io a rimproverare la rottura con l’ala giustizialista fascisteggiante (altro che Grillo!), ma sta di fatto che si torna al bel tempo antico, con la medesima gente e senza più lo straccio di un’identità. Un corpo, malconcio, privo di anima. E questo capita perché i vecchi comunisti sono ancora convinti che per essere moderati e digeribili si debbano alleare con i cattolici centristi, modello Prodi o Casini, laddove, invece, in una democrazia moderna è necessario darsi dei leaders coerenti con quel programma, modello Matteo Renzi.

E il centro destra? Al momento sembra che la massima aspirazione sia conservare il più possibile quel che fu, senza provare nemmeno a descrivere quel che sarà. E’ disposto ad agire sotto falso nome, pur di non fare i conti con i propri insuccessi.

Volete un luogo dove tutto questo appare in gigantografia? Guardate quell’Italia elevata al cubo che si chiama Sicilia e godetevi la scena. Ma non illudetevi che lo stretto faccia da barriera protettiva, o che l’impoverimento dell’offerta sia un fenomeno dialettale. Aveva ragione Leonardo Sciascia, che la descriveva come metafora del resto.

Quindi, per concludere: si sarebbe dovuto votare ieri, meglio se si vota subito, si voterà entro marzo, ma il problema è che nessuno sa dire nulla se non chiedere voti contro l’altro.

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