Mario Monti ha fatto bene a volare in Afghanistan. Ha dimostrato senso dello Stato e fiuto politico. Dopo gli ultimi attacchi alle truppe Nato, che sono stati anche attacchi ai nostri militari, il mondo politico s’è prodotto in comunicati rituali e inutili chiacchiere sul ritiro, senza che nessuno abbia sentito il bisogno di portare fisicamente, quindi concretamente, la solidarietà laddove uomini in armi difendono i nostri interessi. Il governo Monti ha una natura particolare, commissariale, tutta ritagliata su un genere diverso di garanzia internazionale, concentrata sui conti. Dal punto di vista della politica estera è strutturalmente menomato, proprio perché non è quel che dovrebbe essere la normalità, in democrazia, vale a dire un governo politico.
Il presidente della Repubblica, nel mentre Monti era all’estero, confermava gli sforzi per riportare in Italia i due militari detenuti in India. Poche ore prima il ministro della difesa, Giampaolo Di Paola, anch’egli militare, aveva avuto modo di conversare via videotelefono con i due marò, dicendo loro: siete ingiustamente detenuti, presto sarete a casa. A quelle parole il nostro primo pensiero è stato: speriamo che sappiano quel che dicono, che abbiano le spalle coperte, altrimenti certe frasi si ritorceranno contro l’Italia e contro quei detenuti. Del resto, fu coronata dal massimo insuccesso la visita in India del nostro ministro degli esteri, Giuliano Terzi di Sant’Agata, che andò quasi a riprenderseli e ottenne l’opposto, vedendoli trasferire in un carcere. Sono errori gravi, specie perché il ministro è a sua volta un diplomatico (e sarà bene tenere a mente che le democrazie in cui i diplomatici stanno agli esteri, i militari alla difesa e i prefetti all’interno sono democrazie in grave crisi).
Nel caso indiano, del resto, come spesso capita, si mescolano questioni commerciali con questioni di diritto internazionale. La somma delle due porta alla valutazione del peso nazionale. Nella crisi con l’India c’entra l’attività di Finmeccanica, come c’entrò in Brasile e come rileva anche in altri scenari. Un Paese forte difende la propria azienda che commercia in materiali sensibili. Il punto è: posto che l’amministratore di Finmeccanica ha messo in dubbio la rettitudine del ministro dell’economia, suo diretto azionista, al punto da poterlo considerare ricattabile, delle due l’una: o il governo manda via il ministro o manda via l’amministratore. La terza via è terribile: perdere peso internazionale e affari (perché inaffidabile).
L’Italia corre verso le elezioni politiche, facendo finta di rallentare e che ci sia ancora molto tempo. Errore: il tempo è finito e le urne dietro l’angolo. Avete notizie di posizioni rimarchevoli, o anche solo riconoscibili, in tema di politica estera? Fin qui, buio. A parte le stupidaggini sulla presentabilità e la dimestichezza, di questo o di quello, nulla che abbia a che vedere con la posizione e il ruolo dell’Italia. Siamo spettatori, laddove dovremmo essere attori. La sinistra ha nel suo seno chi sa salo parlare di ritiri, in questo modo immaginando di non essere un Paese Nato. La destra gargarizza slogan vuoti. Sembra la classe dirigente di un Paese irrilevante, invece è la classe irrilevante di un Paese importante.