Da europeista dico: il cielo benedica gli antieuropeisti. L’ultima moda consiste nel bollarli tutti di populismo, ma è abbondantemente populista agitare le suggestioni per cancellare la realtà. E la realtà è che l’Unione europea così realizzata non funziona. Se si è europeisti si lavora per cambiare quel che è andato storto, non per storcere il dibattito in modo che ne siano espulsi quelli che usano propagandisticamente l’insuccesso. Enrico Letta ha anche fissato la soglia: sopra il 25% dei consensi, alle prossime europee, sarebbe la tragedia. Si sbaglia: la tragedia consiste nell’incapacità e nell’inerzia delle famiglie politiche tradizionali, che ora sperano di sopravvivere non per meriti, ma solo perché gli altri si mettono le dita nel naso. Entriamo nel merito, che è quel che conta.
Gli attacchi all’Unione vengono condotti affermando che la Commissione e le varie presidenze hanno scarsa o nulla legittimazione democratica; il Parlamento si chiama così ma non ha i poteri di un vero Parlamento e, per giunta, lo si elegge su base dialettale; l’eurocrazia è più demenziale delle burocrazie nazionali, che già raggiungono vette spericolate; non ci sono politiche comuni sulle cose che contano, dall’economia all’immigrazione. Tutto vero. E c’è dell’altro.
Lo stato d’animo che viene vellicato è la paura. Gran parte degli europei ha paura di perdere il welfare state, ma, al tempo stesso, non ne può più di pagare tasse troppo alte per finanziarne gli sprechi. Chi prende voti in posizione “contro” ha la vita semplificata, perché basta dire che gli sprechi sono frutto di ruberie, mentre i privilegi del welfare un diritto dei cittadini. C’è del vero, ma nell’insieme è una superba cavolata. Il compito di chi facesse politiche serie, però, sarebbe quello di spiegare perché certe cose non sono più sostenibili e perché non si deve avere paura, ma si devono cogliere le opportunità che un mondo migliore, più aperto, meno in guerra offre. Gli “anti” usano la nostalgia del passato per accoppare la classe dirigente presente. I “per” dovrebbero sapere usare il futuro per superare le difficoltà del presente. Invece la classe dirigente spera di conservare se stessa biascicando la gnagnera tanto per benino: santi numi, aggrediscono il sogno europeo! Non s’avvedono che diventa un incubo.
Prendete il presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz: rilascia interviste dicendo che è ora di finirla con l’austerità e che l’Ue deve puntare allo sviluppo, smettendola di angariare quelli del sud. Bella cosa. Il fatto è che la decisione in tal senso non si prende in nessuna sede europea, ma in Germania, e siccome i socialdemocratici avevano nel loro programma gli eurobond (quindi una forma di federalizzazione dei debiti, senza cui non regge la federalizzazione della moneta), adesso non devono fare altro che imporla nella definizione del programma del governo di coalizione. Se non lo faranno (e non lo faranno) il populista è Schultz, che privilegia la propaganda sulla realtà.
Martedì prossimo i banchieri centrali si trovano a Francoforte, per il board della Banca centrale europea. All’ordine del giorno ci sono i tassi d’interesse, che dovrebbero seguire l’andamento indicato dalla statunitense Fed, quindi scendere. I tedeschi sono contrari e metterli in minoranza è pericoloso, perché ancora s’attende la sentenza della loro Corte costituzionale, che periodicamente mette in discussione la legittimità della moneta unica (con quel che comporta). Che facciamo: lasciamo che chi è in difficoltà subisca un danno nel mentre chi si è illecitamente arricchito (i tedeschi) continui a godere di un privilegio? Ricetta formidabile per far crescere gli antieuropeisti. Eccola, la fonte del populismo: parla tedesco. Si dirà: ma in Germania hanno avuto una sconfitta elettorale. Per forza, i concorrenti stavano al governo! (Leggete “La lezione della storia”, scritto da Gianni De Michelis con Francesco Kostner, e avrete cognizione di come presero forma accordi che dovevano essere rivisti e, invece, sono rimasti rigidi, quindi in pericolo di rottura).
L’Ue muore se questi problemi non si affrontano. L’euro salta se si fa finta di non vederne le terribili tare genetiche. I predicozzi europeisti hanno la stessa consistenza del populismo antieuropeo. Il guaio non è se un sentimento presente fra gli elettori trova proiezione nelle assemblee elettive, ma se lo si nasconde sotto al tappeto, lasciandoci sopra mobilio fatiscente, tarlato, polveroso. Una delle cose più rassicuranti, per me europeista, è vedere che la minaccia degli anti si fa forte e concreta. Buona premessa per sbarazzarsi degli inutili.
Pubblicato da Libero