Politica

Wahlurne

Da due anni i popoli europei attendono che i tedeschi votino. Ciascuno ha lasciato un brano di carne e un pacco di soldi sull’altare di quel voto. L’idea era (e per qualcuno ancora è): messa alle spalle la gara elettorale il governo tedesco concederà maggiore ossigeno, maggiore spesa pubblica, alle economie del vecchio continente. Ho l’impressione che avverrà il contrario: chiuse le urne non ci sarà più il timore di far vedere quali pericoli crea la germanizzazione dell’Unione, la diga della Banca centrale un po’ si abbasserà, e chi, nel frattempo, non avrà ricalatafato lo scafo comincerà a imbarcare acqua. I salvagente non sono in dotazione.

Ai cugini francesi, quando furono chiamati alle urne, chiedemmo un sacrificio: eleggete François Hollande, non sarà un buon presidente, ma all’Unione europea nuoce la subalternità ai tedeschi di Nicolas Sarkozy. Ora che alle urne (Wahlurne) si recano i cugini tedeschi, cosa possiamo chiedere loro? Poco e niente, perché nelle urne non trovano una gran scelta.

Due anni fa Angela Merkel era reduce da una serie ininterrotta di sconfitte elettorali. Aveva perso tutte le amministrative successive alle elezioni politiche. Due anni fa i socialdemocratici della Spd non solo erano sfidanti assai temibili, ma erano favorevoli agli eurobond, alla federalizzazione (in parte) dei debiti pubblici. Due anni fa non avrei avuto dubbi, chiedendo il voto per loro. Aiutato anche dalla permanenza in vita di un grande (anche grande fumatore, lo dico per autoconsolazione), Helmut Schmidt, socialdemocratico, ex cancelliere e uno dei veri padri d’Europa. Che continua ad avversare la Merkel. E aiutato dall’indomito Gerard Schröder, alle cui riforme pro-mercato la Germania deve la sua attuale floridezza. Ma la Spd di Peer Steinbrueck non somiglia neanche al partito vincente di due anni fa. Impauriti dalle loro stesse idee si sono messi a fare campagna elettorale imitando e inseguendo i cristianodemocratici, che poi è un modo per dire che sono diventati uguali alla Merkel. Gli eurobond sono ancora nel loro programma, ma fanno di tutto per nasconderlo.

Politicamente la signora cancelliera ha già vinto le elezioni, perché è riuscita a portare i principali avversari a farle concorrenza sul suo terreno e sui suoi temi. La campagna elettorale gliel’abbiamo fatta noi, accettando d’essere trattati come scolaretti che devono fare i compiti a casa, mandando a Berlino i nostri (presunti) leader in cerca di legittimazione. L’esito delle urne lo vedremo, ma i tedeschi si trovano ad avere come alternativa, appunto, Alternative für Deutschland, capitanata da Bernd Lucke. Ma questi, che potremmo un po’ definire gli ortotteri teutonici, sono su una posizione così folle da avercela con la Merkel perché sta troppo aiutando l’euro e i paesi in crisi. Se prenderanno tanti voti serviranno solo a rendere più difficile il governo della Germania.

Messe così le cose, perché all’indomani delle elezioni i governati tedeschi dovrebbero rinunciare alla posizione di vantaggio e rendita in cui li ha messi la Merkel, al punto da recuperare gli svantaggi elettorali e ritrovare l’apprezzamento degli elettori? Dovrebbero, è la risposta, perché quella politica porta dritto alla fine dell’euro. Già, ma la campagna elettorale è stata tutta in chiave anti europea. La Merkel perché gli stati spendaccioni devono essere puniti. Steinbrueck non s’è sentito, se non per dare addosso ai latini e farsi bello davanti agli elettori che detestano l’Europa e hanno abboccato alla grande bugia che loro starebbero finanziando i vizi altrui (è vero il contrario, siamo noi che finanziamo i loro). Degli alternativi ho detto. Sicché: perché dovrebbe cambiare? Non cambierà. Se non per la cessata paura delle conseguenze.

A quel punto ci accorgeremo che il nostro spread allo stesso livello della Spagna è sì un’ingiustizia contabile e logica, visto che il nostro debito è assai più affidabile del loro, ma dalla nostra parte pesano negativamente due cose: a. loro hanno un governo scelto dagli elettori; b. loro si sono già protetti con lo scudo europeo. Noi nessuna delle due cose. Né qualcuno incatramò lo scafo dei conti pubblici, mentre continuiamo a stabilizzare precari e litigare sulla campana di poppa. Dopo averle attese per due anni, dopo avere sperato che s’accorciassero i tempi, ora le elezioni tedesche rischiano di sancire che il tempo dell’attesa e del trastullo è finito. E ci arriviamo avendo tassato anche il respiro e non essendo riusciti a por fine alla recessione. No, non possiamo chiedere nulla agli elettori tedeschi. Dobbiamo chiederlo a noi stessi.

Pubblicato da Libero

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