Quando Hu Jintao, presidente uscente della Cina, afferma che da loro la democrazia occidentale non funziona, e non potrebbe funzionare, dice cosa che scandalizza solo chi non conosce la storia e ignora la realtà. La domanda intrigante è opposta: possono, le nostre democrazie, funzionare senza la Cina? Tutte le democrazie occidentali si ritrovano con un debito pubblico troppo alto e con titoli del debito piazzati nel mondo. Ad acquistarli sono le istituzioni finanziarie, in particolare dei Paesi che hanno accumulato enormi surplus commerciali. Come la Cina. Che succede, se il meccanismo s’inceppa?
Il problema della corruzione non è nuovo, né in Cina né altrove. Gli anni del dominio maoista non furono meno corrotti. Il problema, denunciato da Hu, sta nel diverso contesto. Quindi, senza pretesa d’esaurire un discorso che sarebbe lungo, si tenga presente che: a. la Repubblica popolare avrebbe fatto la fine dell’Unione Sovietica, se fosse rimasta rigidamente attaccata ai dogmi ideologici; b. la Cina odierna è figlia di Deng Xiaoping, che Mao avrebbe epurato; c. la rivoluzione è consistita nel lasciare libertà d’arricchirsi, senza badare al come; d. dopo Deng è toccato a Jiang Zemin cercare di mettere ordine, mediante il ruolo del partito, quindi dello Stato, nel mercato; e. Hu, nei dieci anni che ora si chiudono, ha nuovamente cambiato la Cina, facendo in modo che i salari crescessero e si creasse un mercato interno, facendo esplodere il benessere di massa. Ora (per la verità da marzo, perché qui in occidente facciamo finta di sapere che il congresso del partito cambia il governo subito, invece non è così) tocca a Xi Jinping, designato presidente, e Li Kequiang, designato capo del governo, tenere in equilibrio un Paese che è un continente, unico luogo dove esiste un solo fuso orario nello spazio in cui ce ne starebbero tre o quattro.
Li chiamano i “principini”, a intendere che sono i figli di chi si trovò al fianco di Mao. A parte il fatto che sono figli anche di quelli che Mao mandò a farsi rieducare, il punto delicato non è la discendenza, ma il fatto che si tratta di una classe oramai largamente internazionalizzata e con altissima specializzazione. Sono tecnocrati globali. Le loro famiglie vivono nel mondo. I funzionari più capaci girano come trottole. I finanzieri che ti spiegano la prossima convertibilità della valuta nazionale sono etnicamente cinesi, ma in realtà statunitensi per formazione culturale. Il problema, allora, non è tanto la corruzione, ma il pericolo che una classe così sofisticata si distanzi troppo dal Paese sottostante, finendo con l’essere cosa diversa. Anche il dominio ha le sue regole, posto che la richiesta popolare non è concentrata sui diritti politici, ma sul maggiore benessere. E posto che la Cina è un insieme di etnie, pronte a saltarsi alla gola se non tenute assieme dalla storia, dalla crescita o dalla forza. La crescita non può più essere alimentata da bassi salari ed esportazioni, ma deve basarsi su innovazioni e investimenti, anche all’estero. Il che cambia il rapporto fra “noi” e “loro” (ma abitiamo tutti il medesimo pianeta).
E qui veniamo ai debiti. In Italia ci si smiela tutti perché Obama e Romney si fanno le fusa, scambiando per costume consolidato (ma ve li ricordate Bush e Gore?) un’esigenza contingente: la maggioranza della Camera è repubblicana, il voto popolare sostanzialmente paritario e il debito fuori controllo. Se non fanno fronte comune capita che il Paese con il più grande e potente esercito della storia (Obama ha ragione) campa grazie ai prestiti del potenziale nemico. Detto in modo rozzo, ma efficace.
Cina e Stati Uniti hanno, oggi, una condizione comune: per ragioni diverse sono due potenze globali; per ragioni diverse hanno elementi di grande fragilità interna. Ne può venire il meglio, ma anche l’opposto. E questo non è compito che si possa assegnare alle opinioni pubbliche, usando lo strumento della democrazia. Questo è terreno in cui ci si muove da specialisti, con meticolosa conoscenza della storia e dell’economia, in modo da far valere il lato aggregante dell’interconnessione, senza che prevalga la paura da quella stessa scatenata. In tale scenario, purtroppo, non conta nulla l’Unione europea, impegnata a grattarsi il callo dell’Euro. Tanto convinti, gli europei, d’essere il centro del mondo da non avvertire che quando il Renminbi sarà convertibile (2020) o si saranno dati un governo comune, o con le loro banconote potranno giocarci a Monopoli.